Debora Ferrari e Luca
Traini relatori nel Corso di Formazione per Docenti e Genitori
Olimpiade Nazionale del Videogioco nella Didattica
Sabato 14 Gennaio 2107
SVILUPPO
Euripide e il fato dei nuovi media
Euripide e il fato dei nuovi media
Ogni nuovo medium espressivo al suo sorgere
ha sempre suscitato timori: ecco perché quelli nei confronti dei videogiochi sono infondati. In questo caso affronteremo in breve un illustre
predecessore, il medium della scrittura, la parola scritta che oggi diamo per
scontata, ma che tale non era quando approdò al mondo della cultura con la “C”
maiuscola. E lo faremo partendo da un videogame giapponese del 1990 che aveva
il nome di un eroe: Palamede (“Palamedes”, l’originale, con tanto di π greco nel titolo).
Il
mito e una tragedia di Euripide giunta solo in frammenti ci parlano di
lui come l’inventore dei numeri, delle lettere e del gioco degli scacchi. Di
storico non c’è nulla, tutte cose già usate da un pezzo in civiltà precedenti a
quella greca, ma personaggio e vicenda sono esemplari perché il mito fa da
scenario di fondo alla scienza, alludendo al fato che sembra gravare su ogni
invenzione che, una volta messa in gioco, produce conseguenze positive e
negative: dipende dall’uso che se ne fa. Palamede svela l’inganno di Ulisse
(come lui πολύτροπος, “polytropos”, “di multiforme ingegno”) che
si finge pazzo pur di non partecipare alla spedizione contro la città di Troia.
Ulisse, in piena guerra, inganna il nostro eroe con i suoi stessi mezzi: una
finta lettera - ecco l’uso negativo della sua invenzione! – in cui il re Priamo
lo ringrazia per il suo tradimento a favore dei Troiani. Palamede viene
condannato a morte, ma sopravvive in tutto il suo candore in una statua di Antonio
Canova.
Antonio Canova, Palamede foto di Xenophon
"Ho inventato una cura per non dimenticare,
che non ha parola eppure parla, creando le sillabe;
ho inventato la scrittura
per la conoscenza degli uomini"
Euripide, Palamade,
Nelle Connessioni Remote di
Neoludica (2009) al “dramma ancora non scritto sull’uso scientifico della
scrittura” ho aggiunto come deus ex
machina per un lieto fine il Demiurgo di Platone - sommo scrittore oltre
che filosofo, che però quasi si vergognava a scrivere, come tradisse le due dee
della memoria (Mnemosyne e Mneme) e il suo
maestro Socrate – perché le Idee platoniche sono l’antenato del software e
negli ultimi scritti del filosofo diventano Idee-Numeri. Manca solo il numero
zero del matematico indiano Brahmagupta (o quello del Nuovo Mondo, dei Maya),
ignoto ai filosofi greci innamorati dell’Uno, e abbiamo la matematica binaria
indispensabile alla programmazione di “Palamedes” per NES di Nintendo.
Il videogame infatti consiste
nell’abbinare i dadi del giocatore con quelli della parte superiore dello
schermo. Si tratta proprio di sparargli contro avendo lo stesso numero
altrimenti i dadi schiacceranno il giocatore.
Chi ha orecchie per intendere, intenda.
Mostra di Neoludica a LaFeltrinelli di Varese Leggere i videogame tra storia e game art
"Videogame tra arte, cultura e società"
Comprendere l’industria artistica di questo inizio secolo ci permette di essere fruitori consapevoli non solo di videogame, vera è propria ultima arte predominante come il cinema lo è stato il secolo scorso, ma ci trasforma in utilizzatori preparati a inserire dinamiche tecnologiche in ambiti importanti e a noi cari come la tutela e la promozione del patrimonio artistico e culturale, della didattica museale, della formazione in aula, del turismo. Capire la concept art, conoscere autori e artisti della scena videoludica, raffrontare i movimenti d’arte con le attuali pratiche contemporanee tecnologiche. Questo si è prefissata di fare Game Art Gallery ® un nome che è un progetto nato nel 2008 per unire le strade di beni culturali e arti videoludiche e che ha portato alla 54.Biennale di Venezia proprio le game art nel 2011. [...]
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http://neoludica.blogspot.it/2017/01/neoludica-game-art-gallery-nella.html
UN'ISPIRAZIONE ITALIANA PER ASSASSIN'S CREED III
UN'ISPIRAZIONE ITALIANA PER ASSASSIN'S CREED III
“E’ molto probabile che per l’abbigliamento del protagonista di Assassin’s Creed III, Connor Kenway, gli autori di Ubisoft si siano ispirati a due illustri bergamaschi del XIX secolo: l’esploratore Giacomo Costantino Beltrami (1779-1855) e il pittore Enrico Scuri (1806-1884). Il primo è noto per aver scoperto le sorgenti del Missisipi nel 1823 (cosa più risaputa negli USA, dove una contea del Minnesota è a lui dedicata, che da noi). Il secondo è l’interessante – e anch’esso poco conosciuto - pittore dell’Ottocento italiano che l’ha ritratto nel 1842: il quadro è all’Accademia Carrara di Bergamo.
Perché diciamo questo? Per il fatto che i ritratti americani dell’epoca (sia per i “bianchi” che per i “pellerossa”) mettevano in evidenza quella che era l’arma principe di pionieri e conquistatori: il fucile. Sia Beltrami che Connor Kenway (di padre inglese e madre Mohawk: il suo nome indigeno è Ratonhnhaké: ton) mettono invece in evidenza le armi tradizionali dei nativi americani: l’ascia e l’arco con la faretra e le frecce. Un rispetto per le culture altre da quella europea che contraddistingue il videogioco Ubisoft, in linea col nostro migliore sentire contemporaneo, e che trova i suoi coraggiosi precursori in quell’Italia risorgimentale che faceva della lotta per la libertà un suo punto d’onore. Un motivo in più per comprendere come il nostro formidabile patrimonio artistico possa fornire importanti contributi creativi alle nuove arti tecnologiche”.
Dall’intervento di Debora Ferrari e Luca Traini alla Games School di Bergamo