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lunedì 19 giugno 2023

LUCA TRAINI A STORYTIME

Martedì avrò il grande piacere di essere intervistato da Storytime, la webradio che va in onda su Radio Italia 5 e Radio Canale Italia dando  voce ai professionisti, alle storie dal territorio e al fare impresa spiegando l’amore per  il proprio lavoro. L’intervista potrà essere ascoltata fino a giovedì.

È un’occasione importante anche per rivisitare il curriculum vitae sul mio blog, che ha da poco superato 2.400.000 visualizzazioni.

È dal lontano 1986 che ho fatto dell’arte, in tutte le sue declinazioni, la ragione della mia vita. Originario di una regione, cresciuto in un’altra e poi vissuto in un’altra ancora, non ho mai sentito di appartenere a un posto più di un altro. Tanto legato alla mia Italia quanto poco italiano nelle scelte che mi hanno ispirato. Europeo e contento di esserlo come dell’eredità classica greco-latina approfondita con rigore e passione ma cosciente delle terribili ombre che ancora gravano sull’essere “occidentale”, che, proprio per amore e studio, cerco di evidenziare in ragione del futuro.

Poesia ,prosa, teatro (ho recuperato il mio Watteau

e sto ancora ripescando i frammenti dei miei Teatri di guerra come reazione ai recenti orrori)

e curatela d’arte sono sempre stati rivolti in primo luogo ai giovani.

Non si spiegherebbe altrimenti perché passare dalle mostre dedicate al fotografo personale di Picasso André Villers

all’arte dei videogame portata alla Biennale di Venezia con Neoludica.

Ma i presupposti erano già nel mio romanzo d’arte Il Dittico di Aosta, dove rievocavo i videogiochi poetici del IV secolo di Optaziano Porfirio.

La questione sta tutta nel prendere coscienza a 360° di passato e presente senza timori reverenziali perché la lezione della storia dell’arte che prediligo è quella del continuo stimolo a pensare, immaginare e realizzare liberamente, con la propria testa, cosa ancor più difficile oggi travolti da una temperie confusa di sollecitazioni e dati.

Il contemporaneo non ha bisogno di parole d’ordine,sempre superficiali, ma di suggerimenti per un ordine creativo possibile da mettere ogni volta in discussione. È una scommessa formidabile quella di mettere in connessione senza remore passato e presente in vista di un futuro migliore:io ci credo - e continuo a crederci - da quando divenni vicepresidente di un importante spazio culturale ad appena 20 anni. La "morte dell’arte", pianto di coccodrillo dei mediocri, non avrà mai il sigillo di nessuna anagrafe o censimento (parola di chi ci ha lavorato prima d’insegnare storia e filosofia).

L’aggiornamento continua

Luca Traini

lunedì 12 giugno 2023

LA MADDALENA DI CARLO CRIVELLI: IL PRIMO AMORE

Commento musicale Josquin Desprez, Praeter rerum seriem 

La ricordavo sulla copertina di un catalogo - e dio sa quanto l’ho cercato – ma forse era un sogno quel libro, come le donne del pittore.

“Mamma, mi sono innamorato”.

“Ancora?”.

“Sì, ma questa volta è una signora?”.

“Una signora?”.

E indico il dipinto: “Questa. Ti piace? Ha i capelli biondi come te”.

Carlo Crivelli, Maria Maddalena, 1480, Rijksmuseum, Amsterdam

“Certo che mi piace. Mi piace tanto. Ma cosa diranno le tue fidanzatine dell’asilo?”.

Questo sì che sarà un problema - e non solo all’asilo.

È l’estate del 1970 e ci ritroviamo ospiti della zia di mia madre, Linetta, dove l’anno prima avevamo assistito al lancio dell’Apollo 11 - ero certo di aver visto la luce del razzo alla finestra  - e al successivo allunaggio nel Mare della Tranquillità (nome stupendo, sospirato).

Io, innamorato della Maddalena, sulla via dei 5 anni

La prozia aveva evitato il destino di contadina e insegnato alla mamma, di nascosto, a disegnare a carboncino. Dovrebbe scendere a lavorare nella piccola impresa di calzature del marito, al piano terra della loro palazzina, e invece si ferma, mi dà un bacio: “Ma quante ne pensi! A d’è bella ‘sa Maddalena, eh? Ma è ‘na santa: non la poi sposa’.” - e ride - “Però de Crivelli ha stroato un quadro pure ecco a Capudarca, jò la chiesa: chi sa se se pò jillu a vede’?”.

Vittore Crivelli, Polittico di Santa Maria in Capodarco, (foto Fondazione Federico Zeri)

Era vero che c’era un Crivelli a Capodarco, frazione di Fermo, ma era del fratello di Carlo, Vittore, e - forse perché non c’erano sante (o non potevo sposarle) - dal vivo e nel vivo non lo vidi mai.

Ma, come diceva mia madre (che non vedeva l’ora di andarsene al Nord), che c’erano venuti a fare quei due nelle Marche? Da Venezia poi!

Scappavano o quasi, un po’ come noi, come avrebbe fatto in seguito il Lotto. Le Marche fra XV e XVI secolo erano un territorio tutt’altro che marginale e, in fatto di traslochi, l’esempio l’avevano già dato gli angeli con la Santa Casa di Loreto e il relativo miracolo economico generato dal crescendo dei pellegrinaggi.

RECANATI: LORENZO LOTTO E GIACOMO LEOPARDI Lontananza di due solitudini (2008)

E poi anche nella Serenissima non c’era posto per tutti, specie per i più inquieti. Infatti Carlo Crivelli, 517 anni prima, aveva rapito per amore Tarsia, moglie di un marinaio che era chissà dove, con cui aveva poi avuto per mesi una relazione appassionata, consensuale e con la donna riconosciuta parte attiva, alla faccia della Scolastica, dagli advocatores che poi li avrebbero condannati a sei mesi di detenzione. Un’inezia rispetto, per esempio, alla Bologna universitaria, dove gli adulteri venivano condannati a morte, o alla colta Ferrara, che condannava al rogo le donne adulterine. A questo proposito leggete l’ottimo articolo di Liliana Leopardi .

Scandalo, ipocrisie e timore di vendetta da parte di marito tradito e famiglia: Carlo, scampato anche alla pestilenza in carcere, abbandona per sempre Venezia e raggiunge Zara seguito dal fratello Vittore, probabilmente per evitare rappresaglie trasversali.

Di tutto questo periodo, dell’artista, resta poco di cui siamo certi. Nel contesto di un’inquietudine decisamente più grande che investiva anche la città in cui i due pittori si erano rifugiati, con la grande avanzata dell’impero ottomano che pochi anni prima aveva conquistato Costantinopoli.

Carlo Crivelli, Polittico di Massa Fermana, 

Mentre di dubbi si accumulano l’unica sicurezza è che Carlo è il primo ad avventurarsi nelle Marche, perché nel 1468 era già nella mia terra. Forse perché temeva altri guai e vendette della Dalmazia veneta? Chi può dirlo? Fatto sta che in quell’anno firma il Polittico di Massa Fermana, quel minuscolo paese dall’ingresso gigantesco - la Porta Sant’Antonio - così strana e bella.

Massa Fermana (FM), Porta Sant'Antonio, XIV sec. (foto Paula Castelli)

Cosa ribolliva in quell’uomo che trapassava nell’artista? Lo splendore tardogotico della pala principale in simbiosi con le forme già così umane, umanistiche dei quadri della predella. Nel Cristo nell’orto del Getsemani, in quello che risorge c’è l’eco del Mantegna (Crivelli era stato a Padova)? Nella flagellazione il pavimento piastrellato richiama quello di Piero della Francesca a Urbino? Domande sorte in seguito, io all’epoca ero tutto preso dalla Madonna mamma che pareva tanto stanca, dal quartetto dei suoi amici santi ora tutto lusso ora trasandati e stracci. Compagnia strana per Gesù bambino, che sembrava distratto con la voglia - se lo capivo! - solo di giocare a palla.

Carlo Crivelli, Polittico di Porto San Giorgio (foto portosangiorgio.it)

Avrei scoperto decisamente più tardi che aveva dipinto un Polittico a Porto San Giorgio nel 1470, dove esattamente 500 anni dopo sarebbe nato mio fratello Luissandro, biondo come il bambinello della Madonna Cook che sta alla National Gallery di Washington. Perché nell’Ottocento avevano demolito la vecchia parrocchiale in cui stava l’opera che, smembrata, avrebbe diviso il suo splendore fra Inghilterra, Polonia e Stati Uniti.

E proprio il fratello di Carlo, ormai trasferitosi ad Ascoli Piceno, approda nelle Marche qualche anno dopo, intorno al 1476. Vittore occupa lo spazio lasciato libero nel Fermano dipingendo anche un polittico a Sant’Elpidio a Mare (che sul mare non ci sta affatto), il vecchio comune nobile alle spalle di quello giovane e proletario, Porto Sant’Elpidio, in cui eravamo finiti ad abitare.

Vittore Crivelli, Polittico di Sant'Elpidio a Mare, 1480-69 (foto regione.marche.it)

Vittore circondava più da vicino il nostro paese con la sua pacata bellezza, quasi figlia di campi, colline e mattoni in tutte le loro sfumature di giallo.

Carlo invece sembrava abbracciarmi a superiore distanza, con quella ricerca del sublime che sconfinava nei cieli. Camerino, Matelica, Fabriano, Pergola e Ascoli. Soprattutto Ascoli, con quell’Annunciazione dove l’angelo ha fretta di condividere qualcosa di bello mentre tutti guardano di qua e di là e parlottano.

Carlo Crivelli, Annunciazione di Ascoli, 1486

Solo la Madonna e il pavone al piano superiore se ne stanno quieti, con quella luce che scende dall’alto e dovrebbe portare pace anche se il cielo sembra l’Adriatico in tempesta.

Poi si vorrebbe tornare a essere quei piccoli angeli che sostengono le braccia del Cristo nella Pietà di Montefiore dell’Aso, perché c’è quella cosa che allora non capivo. Gli esseri umani e quello che fanno non dura per sempre.

Carlo Crivelli, Pietà di Montefiore, 1471

Si muore ad Ascoli Piceno come a Fermo. A volte mi chiedo ancora come sia possibile. Zia Linetta,  anche tu sei morta, a Capodarco, e non ricordo quando.

La nostra Maria Maddalena sale l’ultimo gradino sollevando il mantello in punta di dita. L’ampolla degli unguenti, che forse potrebbero guarire, non si aprirà. Lo sguardo resta impenetrabile anche quando la ritrovo ad Amsterdam nel 1987. Certe verità, forse, erano accessibili al bambino che non ero e non posso essere più.

Carlo Crivelli, Predella della Resurrezione dal Polittico di Massa Fermana

Ora diciamo che resta l’arte, in fondo il miglior sostituto dell’amore.

E resta un libro, che non trovo più.

 

Luca Traini


CHET BAKER

Di passaggio a Roma, tutto preso dai miei pensieri, un amico mi scrolla indicando due persone: “Guarda, quello è Chet Baker!”.

A quell’apparizione, sapendo sì e no chi fosse, replico giusto “Ah!”, per fargli un piacere.

1987. Vent’anni, ventuno: il jazz lo mastico poco. Non sapevo che Miles Davis - lui conoscevo, amavo la musica dell’amico di mio fratello Jimi Hendrix - lui agli esordi era stato sconfitto da quell’uomo sgangherato che pareva vecchissimo.

Anni dopo scopro la storia del concorso della rivista Down Beat, di quest’altro ventenne bello come il sole che aveva suonato la tromba di Louis Armstrong - un altro che mi piaceva fin da bambino - meglio inoltre di Clifford Brown e Dizzy Gillespie. Ma era il ‘54, roba in bianco e nero, e anche lui, a trent’anni di distanza, sembrava tutto colori sbiaditi, come un vecchio film delle tv private. E poi aveva lavorato a lungo in Italia e l’amava, cosa che all’epoca non deponeva molto a suo favore:

“Ma che ci viene a fare qui se ha la fortuna di essere americano? Ha suonato con Franco Cerri? Cerri chi? Ah, quello della pubblicità del Dixan? Con Papetti? Quello delle donne nude in copertina? Cos’è? Bukowski versione musica?”.

Domande sciocche nello stile di quegli anni, anche perché i suoi dischi costavano troppo, come i locali dove suonava. Jazz non elettrico, roba da vecchi - ma Bukowski, lui sì che sarebbe invecchiato davvero, fino agli anni ’90, quando tutto sarebbe andato bene, Kurt Gobain a parte, tutto revival.

Devo aspettare trentesimo/trentatreesimo anno - tutti traguardi considerati siderali, difficili quando diventi artista sul serio a venti - e una specie di nuovo millennio che porterà un sacco di grane per iniziare a comprendere genio e sofferenza di quella specie di angelo, sempre intento a strapparsi le ali. Collegare quella presenza così fuggevole in vita a quanto resta vicino e lontano in cd, filmati alla televisione e poi su YouTube. Sempre in ritardo, ma predisponendo per cuore e orecchie qualcosa di simile alla sua dentiera dopo che gli avevano spaccato i detti - roba di eroina, quelle siringhe innestate anche nei giardini della mia scuola media: “Non toccate, non giocate sull’erba: solo nel campo di pallavolo”. “Ma è di cemento”.

My Funny Valentine, non potremo neppure imboscarci tranquilli ai Giardini Comunali, al liceo.

Eppure, lo senti, resta qualcosa di blu come diceva Rino Gaetano, il suo Almost blue come un giorno che potrebbe essere sereno dopo una lunga notte, qualcosa che avrebbe potuto disintossicarlo da droga, alcool e paure prima di incontrare quelli che se la cavano anche con la proiezione d’ombra del sole. Il canto - e forse la voce stessa - che sembra usare il corpo come uno strumento e probabilmente è l’opposto (vallo a dire alla testa) - aveva già modulato Born to be blue.

Let's Get Lost, perdiamoci, Over The Rainbow, l’arcobaleno è un gelato: se gli artisti restano bambini - cosa vera fino a un certo punto - Baby Breeze anche in Autumun Leaves. E io ho sfiorato solo il tuo inverno.

Quel tuo primo cd che compro a tale distanza, No Problem (1980) - titolo da sogno - quante volte accompagna e solleva la luce strana di certi primi pomeriggi, quelli sempre meno tollerabili più passano gli anni. E mi ripeto “No problem” guardando quel tuo ciuffo improponibile. Soffio di vento, soffio di vita in un interno, quando la memoria entra come una brezza da uno spiraglio lasciato aperto e non ti fa male. Poi chiedi cosa significa Sultry Eye, l’afa negli occhi, e neppure qui c’è confusione. Il significato è “occhi sensuali”: fascino, persistenza dell’amore. Finché c’è quello anche l’arte.

Ci sarebbe il resto del disco, gli altri che seguono, date di esecuzione che si accavallano e cerco di sistemare in qualche modo. E l’angelo fra le note che ritrovo ogni volta se vedo uno dei film che amo di più: I soliti ignoti.

Tu precedi nel volo finale Monicelli di 22 anni. Finestra spalancata del reparto di urologia a Roma o di un semplice hotel ad Amsterdam, il risultato è sempre lo stesso.

Quello che resta continua a lanciarsi nel vuoto e risalire in volo, come le rondini.

Luca Traini

domenica 11 giugno 2023

ELOGIO DELL'INDIRIZZO

 

Tutta la storia che c’è in me sosta davanti al numero di una via che sembra sorgere direttamente dalla pietra. La sua spaccatura potrebbe riflettere quella del muro e il quadrato del numero cercare sostegno nell’architrave della porta.

Tu entri nel mondo fantastico della numerazione umana, in quella formidabile tensione a dare una misura a tutto quanto attraversiamo.

Dare un nome, accompagnare con numeri: le nostre vite diventano vie da percorrere.

La cifra è precisa, la cifra è profonda. Vicina a. Lontana da.

La cifra che cerchi segue e precede altri numeri da cui poi distrae, come una rivelazione.

La cifra giusta è gentile, si dissolve in una realtà che credi senza numeri e trovi.

La cifra può essere anche crudele, senza nome, assenza di parola, di simbiosi, Auschwitz.

La cifra che invece libera il passo verso la casa di chi ami è il dolce preludio a un incontro, si eclissa, lascia spazio a tutti i contenuti di quei respiri che sono le parole.

Trovare il numero giusto nell’abisso della matematica. La traccia, la vita, oltre il muro a protezione dell’infinito

Luca Traini

(vedi anche lucatraini.blogspot.com/p/poesia)

MARE IN CAMMINO

Qualunque sia il cielo sopra di me,
Ecco c’è un cuore per ogni fato.

G. Byron

Commento musicale M. K. Čiurlionis, Jūra (Il mare, poema sinfonico)

Opere di Nicola Perucca all'Hotel Byron di Lerici

Una mostra che fissa lo sguardo in profondità nel Golfo dei Poeti - Byron, Mary e Percy Bysshe Shelley - ascoltando con attenzione la voce di ogni onda. C’è il Mare in cammino di Nicola Perucca all’Hotel Byron - e per ogni mostra curata con Tania Calenda e Debora Ferrari trovo sempre qualche verso del poeta - dal 17 giugno al 17 settembre. Un mare che è già il cosmo nel moto ondoso inquieto delle opere di Nicola. Un invito ad andare oltre, nel cielo e ancora più in alto nello spazio profondo, come già con le sue vertiginose Città librerie (ne abbiamo già scritto in https://lucatraini.blogspot.com/p/arte.html).

Il dialogo tra riverberi, nuvole e stelle prelude sempre ad altro, questa volta sulla radiazione di fondo del suo amato Čiurlionis, compositore di musica e pittura in perpetua tensione, e con la memoria che torna a uno dei film più amati dal pittore, Solaris di Tarkovskij. Tutti gli oceani, reali e della memoria, in cui ci troviamo immersi, da cui cerchiamo ostinatamente di riemergere. E il Tirreno, che chiamiamo mare, per i geologi è un oceano. E chi più di un pittore ama la geologia, il discorso sulla terra che da cumulo di strati si fa polvere, colori? Chi più di un artista nato a La Spezia come Nicola, che ci offre composizioni concrete che trascendono ogni orizzonte?

Nicola Perucca, Solaris (Tecnica mista su carta intelaiata, cm 40 x 60)

Scrive Debora Ferrari nella sua introduzione (Mare in cammino: quando spazio e tempo diventano musica) al catalogo edito da TraRari TIPI in limited edition: “Anche quando si cammina con gli occhi si incontrano mondi che non avremmo mai immaginato di percorrere. Lo sguardo va, cerca, toglie, aggiunge. Lo sguardo è padrone del nostro sentire razionale ed emotivo. È così col mondo ed è così col mondo dipinto, con gli spazi che ogni autore ci regala come finestre del possibile dove anche noi possiamo abitare. Davanti alle opere presentate nella mostra all’Hotel Byron ci troviamo a fluttuare, a galleggiare in una sostanza che è al contempo fisica e materica come spirituale e impalpabile. Mare in cammino ci porta attraverso un concetto epicureo di trasformazione che nel mutamento trattiene una sua coerenza, quella dell’esistere. I colori e le superfici delle carte e delle tele diventano l’appoggio palpabile del nostro sentire, come i sentimenti su un lenzuolo, come due mani che si sfiorano unendosi”.

Nicola Perucca, Paesaggio (Tecnica mista su carta intelaiata, cm 40 x 60)

Sono opere in linea con i lavori più recenti  e in realtà molto legate a una mia vena espressiva mai esaurita che va avanti da tempo, che non prevede impianto grafico ma una maggiore libertà pittorica, meno illustrativa. Anche altri lavori di piccolo formato realizzati recentemente testimoniano questa mia potente tendenza e questo impulso sempre maggiore verso la libertà dal contorno (Nicola Perucca).

Nicola Perucca al tavolo di lavoro

Luca Traini

https://lucatraini.blogspot.com/p/chi-sono.html

https://www.larioin.it/category/attrarti/