Quando leggo i frammenti acuminati di La Rochefoucauld sento prima la spada dell’uomo che cerca di infilzare la carne dei simili come fosse un prosciutto, poi le garze eleganti, essenziali dell’aforista sulle cicatrici mai rimarginate della vita a corte.
La storia delle due Fronde nella Francia di metà XVII secolo è un bel ginepraio e alla fine ha la meglio chi non ha tempo di scrivere Massime o Memorie: il cardinale Mazzarino. Il presente profondo della riflessione letteraria è figlio della sconfitta politica e della sopravvivenza dei due scrittori all’ombra del Re Sole.
Poi c’è chi sconfessa con tale limpida chiarezza la geopolitica di Luigi XIV tutta allori (mutati in piante carnivore), ribalta alleanze di secoli col sorriso e finisce coi denti cariati dalla Guerra dei Sette Anni, quella dove il giovane capitano de Sade sperimentò le prime fiamme dell’inferno.
È De Bernis, poeta e accademico di Francia prima ancora che ministro, amante della pace e amico di Voltaire. Che io sappia le sue poesie non sono state pubblicate in italiano. Quel suo amore per la terra da fiera piccola nobiltà con radici nel XII secolo, che saprà traslare anche in prosa fisiocratica e non sarebbe dispiaciuto a Saint-Beuve (lo definì precursore di de Lamartine), provo a tradurlo da qualche passo di Sur l'amour de la patrie:
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