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martedì 23 gennaio 2024

IL REGNO DEL CONGO, IL PRIMO VESCOVO DELL’AFRICA NERA (1518)

Primo viaggio nella storia delle civiltà africane. Primo amore: il Regno del Congo (oggi soprattutto Angola del nord), conosciuto da piccolo nella meravigliosa enciclopedia I Popoli della Terra, da ragazzo su Africa di Hosea Jaffe, quindi nei libri del grande Basil Davidson e nel saggio letto e riletto di Randles. Fino alla recentissima biografia dello storico del Congo Brazzaville A. F. Nganga su Dom Henrique Ne Kinu a Mvemba (1495-1531), consacrato da vescovo della diocesi di Utica (odierna Tunisia) nel 1518 da papa Leone X Medici e caso unico fino a Joseph Kiwanuka, vescovo di Masaka (Uganda) nel 1939.
Henrique, figlio del grande re (“manikongo”) Dom Afonso I (Mani Sunda) e nipote di João I (Nzinga a Nkuwu), che aveva scelto di convertirsi (spontaneamente) al cristianesimo dopo l’incontro – è bene sottolinearlo: alla pari – con navigatori e stato portoghesi. Sarebbe stato bello vedere il vescovo Henrique partecipare al Concilio di Trento. Purtroppo morì a soli 36 anni nel 1531, quando le  nuove strategie pastorali avevano già iniziato a emarginare gli africani dal sacerdozio.
Il rapporto con la Chiesa di Roma fu comunque più proficuo che col Portogallo. D’altro canto la scelta di diventare cristiani era stata anche, se non soprattutto, politica. C’era tutta la magia di nuove tecnologie e prodotti che approdavano dall’oceano, un tempo ritenuto sfera del sacro, dimora degli spiriti di antenati che si incarnavano in corpi bianchi... E non mi riferisco solo alle armi arrivate con Vele e cannoni (titolo di un libro fondamentale di Carlo M. Cipolla), ma anche a strumenti altrettanto formidabili come libri e scrittura. Afonso I, un gigante della politica dell’epoca, si dedicò subito anima e corpo alla fondazione di scuole per i figli della classe dirigente e, contrariamente all’Europa, l’insegnamento fu aperto anche alle donne (una delle sue sorelle fu apprezzata professoressa). Il corpo docente era però principalmente composto da religiosi europei e continua era la richiesta di nuovi maestri per avere classi meno numerose (proposta lungimirante sempre valida, anche da noi, oggi). Tuttavia, col passare degli anni, appelli come questo e altri finalizzati a un maggior apporto di specialisti nei campi delle più diverse tecnologie rimasero lettera morta alla corte lusitana. In un’Europa che ancora non aveva elaborato teorie di superiorità culturale, ma soltanto cultuale, si faceva strada il timore per la grande intraprendenza del manikongo e del suo popolo. Come ha sottolineato Randles: “Le lettere di Dom Afonso mettono in luce la delusione di un uomo che aveva aderito di tutto cuore alla civiltà europea, che credeva ancora alla buona fede e alla generosità di suo ‘fratello’ – è  la parola da lui usata nel rivolgersi al re del Portogallo – ma che si trovava profondamente sorpreso e rattristato dal comportamento interessato, disinvolto, vedi insolente, dei portoghesi residenti in Congo”.
Afonso I, in una lettera del 1516 al re del Portogallo Manuel I, era stato descritto in termini entusiasti: “Sembra che non sia un uomo bensì un angelo […] conosce meglio di noi i Profeti e il Vangelo e tutte le vite dei santi e tutte le cose di nostra Santa Madre Chiesa […] poiché non fa che studiare e spesse volte gli succede di addormentarsi sui suoi libri e sovente dimentica di mangiare e bere per parlare delle cose di Nostro Signore”.
Soltanto dieci anni dopo il re congolese già denunciava con forza il coinvolgimento dei portoghesi nella tratta degli schiavi, anche a danno dei suoi sudditi:
[...]

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