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lunedì 21 ottobre 2019

JEAN FOUQUET E FRANÇOIS VILLON

Il pittore e il poeta a corte, in sogno 

Commento musicale Gilles Binchois, Adieu, jusques je vous revoye

Villon

Jean, Jean Fouquet, tu che hai “fou” e sei “folle” a inizio cognome e ti acquieti nella seconda parte, tu hai illustrato in miniature d’incanto i tristi casi di uomini e donne del sommo Boccaccio, puoi allora capire quello che dice san Paolo ai Corinzi, e a noi tutti che danziamo prede della grande ragnatela dell’arte: “Quello che è folle per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti”.

Fouquet

Il poeta fa sua la follia dei santi o è l’uomo che cerca solo una scusa per i suoi crimini? Ti sei convertito sulla via di Damasco o in qualche trivio di Parigi? E qual è la prospettiva giusta che unisce queste due maschere? Io l’ho imparata in Italia, da Beato Angelico. Geometria. E matematica dell’anima. 1+1 deve risultare 1. Che singolarità sei tu, che dormi, sogni e mi compari di punto in bianco qui a corte, come un’epifania da un tendaggio spalancato, come amano farsi ritrarre i sovrani? Allora, monarca solo dei tuoi sogni, cosa vuoi che ti dipinga dei re: i crimini o la loro capacità di guarire le scrofole?

Coro dei cortigiani

Fate passare i malati di scrofole! Fate passare solo i malati che vuole il re!

Villon

Io vorrei un ritratto senza denti, dopo che me li hanno strappati uno a uno come alla tua santa Apollonia, mentre sorrido a bocca chiusa di fronte agli orrori della mia epoca, finalmente innocente. Perché io ho pagato le mie colpe invece loro - tu i nomi li sai perché li hai ritratti - nascondono dietro labbra serrate, impassibili, i denti cariati e sporchi con cui rimasticano le loro vittime.

Fouquet

François, sei proprio un illuso. Sei a corte e pensi di essere ancora nel tuo letto. Io sono il pittore del re, e se vuole dipingo anche la sua amante morta nei panni della Madonna. Diciamo che cerco di vedere il lato migliore in quest’epoca triste, perché abbiamo uno straccio di pace, come quello che uso per cancellare una sbavatura, pulire sommariamente le mani. Almeno la Guerra dei Cent’Anni è finita, questi despoti imparentati incestuosamente fra  loro non giocano più ai grandi massacri. Solo piccoli crimini, quelli abituali. Quelli per il mio straccio.

Villon

La pietra, quella fatale che il tuo santo Stefano regge in equilibrio perfetto sul libro sacro, gioiello dalle tante facce che risplendono taglienti, dimmi: Etienne Chevalier, tesoriere dei nostri re, ha trafugato anche quella dal tesoro dei nostri sovrani?

Coro dei cortigiani

Il pittore, il pittore di corte ora deve pensare solo alle miniature.

Fouquet

Li senti? Se non comprendi, che razza di poeta sei? Ti sembra che i cortigiani abbiano sempre voglia di recitare pregando se il sangue cola dalla testa di un santo e rischia di sporcargli l’abito della festa? Mica vestono tutti i giorni il rosso dei cherubini. Parla del passato piuttosto, meglio se remoto, stendi i tuoi colori per il presente e lascia il disegno d’insieme per il futuro, se capirà, se avrà tempo di capire.

Villon

“Fugit irreparabile tempus”: questo è Virgilio, me l’hanno insegnato a scuola. La scusa principe per cui è sempre emergenza, mai tempo di riflettere, solo di agire. E chi pensa non lo permette, quindi va eliminato. Ho cercato anch’io di seguire l’esempio, nel mio piccolo, uccidendo, rubando, e in grande non me l’hanno perdonato. Tranne quando stavo per essere impiccato e un figlio che aspettava solo crepasse il padre è diventato re e mi ha graziato. Quando si dice il culo, che mi ha salvato, non ha pesato sul corpo lasciato libero di ballare nel vuoto con una corda al collo. Di questo gioco fra legge fisica e morale ho scritto anche in una quartina.

Coro dei cortigiani

Luigi XI concede la grazia ai poeti, purché facciano perdere in silenzio le loro tracce lasciando spazio alla sua prosa.

Fouquet

Ascoltali bene ancora, poeta: giocano se stessi come pedine su una scacchiera, non sono stupidi. Devi contemplare l’essenza vegetativa di questa specie di esseri umani: non è il saggio splendore delle piante - queste s’innalzano verso il cielo - ma la bassa furbizia di chi cerca di affondare radici taglienti, come la mia pietra, nel timore quotidiano che l’avvento di qualcuno li possa sradicare o quanto meno, di norma, potare uno di quei loro rami troppo carichi di spine. Lo sanno, meglio, lo sentono come animali da caccia che siamo creature in esilio, su una tavola, su una tela, su una pagina bianca.

Villon

Io vorrei fuggire nelle Fiandre. Ma ci sono poeti? O è meglio di no? E i duchi di Borgogna? Dove mi conducono? L’Italia, l’Italia, dove forse sono già stato, a cercare un’altra prospettiva, se non come poeta almeno come semplice essere umano, uno che vuole solo vivere tra qualcosa di bello. E magari, confidando per l’ultima volta nella metrica dei tempi, tornare un giorno a Parigi, come te a corte, ma all’osteria “La mula”, finalmente sterile, a raccontare semplicemente cosa c’è fuori. Senza più scrivere, per carità, senza vergare pergamene di agnello sgozzato.

Coro dei cortigiani

Il nostro nemico è la Borgogna: accettiamo qualsiasi delinquente tra le nostre fila pur di farla a pezzi.

Fouquet

Uomo, poeta, artista, perenne ubriaco, cattivo soldato, svegliati, tanto a Parigi non tornerai. Di te, François - non parlo di Villon -  se ancora una volta non vorrai avere le mani sporche di sangue, dovrà perdersi ogni traccia. Le impronte del mio cammino io le tengo serrate come un gregge in uno stazzo, nel passato. Nelle Fiandre Van Eyck, Claus Sluter in Borgogna, Beato Angelico in Italia: tutte sezioni di un’unica prospettiva qui e ora, nei mei occhi. Ma il punto di fuga lo tengo ben stretto, in segreto.

Claus SluterPozzo dei profeti, Certosa di Champmol, Digione, in https://lucatraini.blogspot.com/2018/01/non-solo-machiavelli-e-guicciardini-le.html

Villon

Parole sante, per chi non è mai finito in galera. Io dormo, ma il mio cuore veglia, e domani dovrò uscire dalle porte di Parigi bandito per dieci anni, come una bestia braccata. In exitu Israel de Aegypto cantavano gli antichi. E non c’è nuova polifonia che possa salvarmi.

Coro dei cortigiani

Silenzio! Silenzio! Il re vuole ascoltare in pace la Messa in qualsiasi modo del signor Johannes Ockeghem!

Villon

Un altro Giovanni, come te. E io in esilio nel deserto come il santo, come il popolo d’Israele.

Fouquet

Voce che griderai per l’ultima volta nel deserto affollato delle strade di Parigi, alla fine del sogno voglio rivelarti un’ultima cosa. Un progetto che mi è stato commissionato dal più ambizioso dei vassalli del re, Giacomo d’Armagnac: illustrare le Antichità giudaiche di Giuseppe Flavio. Bella scommessa per me, singolare scelta la sua. Un messaggio segreto ai borgognoni, agli inglesi? Come Giuseppe tradì i suoi per diventare Flavio, forse lui tradirà il re? Ma che razza di diavolo si può celare nell’arte? Quanto splendore devo aggiungere per evitare l’ombra?

Coro dei cortigiani

Ricordate, sudditi, ricordate: Giobbe pazientò quant’era giusto accasciato nella sua montagnola di merda, ma il re, con la stessa grazia divina, preferirà sempre il trono più elegante. Confitemur: giorno verrà che anche d’Armagnac finirà decapitato e diseredato. Parola del nostro signore, Luigi.

Villon

Ora sì che li sento, grande miniatore: tutti felici se avranno più spazio per sgomitare. E tu che farai? Illustrerai soltanto i soliti Davide e Salomone? Il tomo di quel grande traditore è più grande di una forma di formaggio ma, attento, il suo sapore è amaro. Quando l’antica monarchia si spacca in due come te la caverai con i grandi re del regno d’Israele, uno più peccatore degli altri? Sceglierai solo quelli che si salvano del piccolo regno di Giuda? Basta una semplice pestilenza a fare la storia e gli Assiri fanno a pezzi la torta più grande mentre ci restano secchi quando cercano di azzannare un  boccone più piccolo.

Fouquet

Fare e disfare. Nel mio piccolo farò quanto in grande hanno disegnato e disegnano i re della dolce Francia, scampati a un pesce più piccolo, ma famelico, come il regno inglese. E poiché loro dicono di discendere dai troiani come i romani, io prenderò di mira solo i romani perdenti come Pompeo, anche se cari al nostro Petrarca, a Boccaccio e alla nostalgia degli Italiani che ho visitato, così fieri delle loro piccole, fragili paci. Celando ancora una volta le mie inquietudini. Come l’autoritratto che ho voluto dai contorni dorati mentre emerge dal nero, cosciente di quanto sia apparente, oscuro. Fissalo bene: ho dipinto volto, abito, cappello e nome in oro sfidando la tenebra.

Coro dei cortigiani

Autorità! Autorità di Parigi, cosa aspettate a svegliare quest’uomo che dorme e si diceva poeta?

Villon

Un poeta è sempre sveglio, signori, specie se sogna. Villon è sempre stato sveglio. E tu? Tu, François?


Luca Traini

martedì 1 ottobre 2019

LA SPIA, IL POETA, IL PAPA Missione segreta in Scozia

 Commento musicale Johannes Ockeghem, Missa Au Travail Suis


La cancelleria inglese era al corrente di questa missione alla corte di Scozia, alleata della Francia, e subito aveva sguinzagliato i migliori agenti per bloccare un misterioso personaggio che si sapeva diretto verso i resti del Vallo di Adriano. Una spia. Un umanista. Un’agente doppiamente pericoloso.
In questi tristi tempi di Brexit torno al viaggio enigmatico del giovane Enea Silvio Piccolomini, in seguito papa Pio II (1458-64), in un’Europa divisa e lacerata dalle guerre: dice niente questo?
Nel 1435 era soltanto un diplomatico aspirante scrittore (suo il bestseller erotico del XV secolo: Storia di due amanti). Inviato oltremanica dal cardinale Albergati (ritratto in un capolavoro di Van Eyck), nemico numero uno degli inglesi per aver fatto riconciliare il Ducato di Borgogna con la Francia col primo Trattato di Arras dello stesso anno.
La vicenda è narrata con maestria nei suoi Commentari, 2500 pagine letteralmente da divorare per gli appassionati (naturalmente col sollievo finale di non essere vissuti in quell’epoca terribile: ne ho già parlato a proposito delle Memorie di Philippe de Commynes e nel mio Dispaccio Musicale su Guillaume de Machaut).
Enea sostiene che il suo incarico era solo un intervento per far riacquistare a un prelato senza nome il favore di re Giacomo… Difficile crederlo. E poi i viaggi in realtà sono due.


Commento musicale Antoine Busnois Anthoni usque limina

Il primo comincia subito male, “accolto come persona sospetta” a Calais e messo sotto custodia. “Ma gli venne in aiuto il cardinale di Winchester che, tornando allora da Arras, ordinò che Enea venisse liberato” (naturalmente i Commentari di un umanista non potevano essere che in terza persona come quelli di Giulio Cesare, tanto più per uno che era stato chiamato non a caso Enea Silvio e si credeva discendente della Gens Iulia per via di una delle solite genealogie leggendarie dell’epoca). Tuttavia, giunto alla corte di Enrico VI, non solo non gli viene rilasciato il salvacondotto per la Scozia, riceve anche l’ingiunzione a fare marcia indietro proprio perché segretario dell’Albergati (“verso il quale nutrivano una particolare inimicizia”). “Tutto ciò era assolutamente ignoto a Enea” (altra bugia). In ogni caso l’occhio attento della spia, dell’umanista e dell’uomo d’affari (i Piccolomini erano stati anche questo) riesce a osservare con ammirazione crescita economica, monumenti e miti di Londra e dintorni in grande ascesa: “Città popolosa e ricchissima; e la nobile cattedrale di San Paolo; e le stupende tombe dei re; e il fiume Tamigi, più veloce quando la marea lo rimonta che quando scorre verso il mare; e il ponte come una città; e il villaggio (di Strood, nel Kent) in cui si dice nascano uomini con la coda; e il monumento che tutti gli altri supera in fama, il dorato mausoleo di San Tommaso di Canterbury, tutto coperto di diamanti, perle e carbonchi”.


Commento musicale Guillaume Dufay, Ave Maris Stella

Il secondo viaggio, dal porto olandese oggi interrato di Sluis, rischia di finire anche peggio, con due tempeste che trascinano la nave fino in Norvegia. Approda sulle coste scozzesi dell’East Lothian dopo ben 12 giorni da incubo. Per sciogliere un voto fatto in mare cammina, inoltre, per diversi chilometri a piedi nudi - a fine autunno! - per ringraziare la Vergine nella chiesa di Whitekirk restando a lungo claudicante a causa dei piedi semicongelati. La missione alla corte di Giacomo I ha comunque successo. E anche il ritratto che fa della Scozia resta memorabile (a parte l’errore di scambiarla per un’isola): “E’ una terra fredda che produce poche messi e, in gran parte è priva di alberi. Nel suo sottosuolo si trova una pietra solforosa (la torba) che gli Scozzesi estraggono per farne fuoco. Le città non hanno mura. Le case in gran parte non sono costruite con calce; i tetti, nei villaggi, sono coperti di zolle erbose; le porte delle capanne sono chiuse da pelli bovine… Si cibano abbondantemente di carne e di pesce, e il pane lo considerano un lusso… Non hanno vino se non quello che viene importato… In Scozia si trovano più ostriche che in Inghilterra, e in esse assai più perle. Esporta nelle Fiandre cuoio, lana, pesce salato e perle. Non c’è nulla che gli Scozzesi stiano a sentire più volentieri delle ingiurie contro gli Inglesi… Gli Scozzesi che vivono nella foresta parlano una lingua diversa… Enea aveva sentito che là crescono degli alberi, sulla riva di un fiume, i cui frutti se cadono  a terra marciscono, se invece nell’acqua, si animano e si trasformano in uccelli. Cercò incuriosito tale prodigio, ma seppe che era tutto falso… Poté invece confermare che in occasione del solstizio invernale – Enea si trovò in Scozia proprio allora – il giorno non dura lassù più di quattro ore”.


Commento musicale John Dunstable, Quam pulchra es

Sensuale anche in vecchiaia (dopotutto veniva da quella Siena da lui definita “città di Venere”), il papa che fa scrivere le sue memorie sostituisce per un attimo Cesare con Ovidio e va col ricordo soprattutto alle Scozzesi: “Gli uomini sono bassi e audaci; le donne di carnagione chiara e belle e inclini all’amore. Baciare una donna è cosa di minor conto lassù che in Italia prenderle per mano”.
E saranno proprio due donne, questa volta inglesi, a offrirsi di salvarlo, una volta attraversata la frontiera, il fiume Tweed, travestito da mercante. Infatti, giunto in un grosso villaggio e ospitato a base di di galline e oche da un sacerdote che sembra uscito dai racconti di Chaucer, dopo aver stupito gli abitanti accorsi in massa che “mai avevano visto il vino e il pane bianco… Fu necessario distribuire tutto il pane e il vino fra quella gente” (eccolo qua in nuce il vicario di Cristo), viene a sapere che per la notte gli uomini si sarebbero ritirati in una torre lontana per ripararsi dalle scorrerie degli Scozzesi…
“Enea li implorò, ma non lo vollero, né vollero portare alcuna femmina, benché ci fossero in quel luogo numerose giovani e donne assai belle. Alle donne, secondo quella gente, i nemici non possono fare alcun male, ché lo stupro non lo considerano un male”. Il termine è pesante e ferisce la nostra sensibilità, ma dal successivo comportamento compassato delle contadine e da quanto detto prima delle Scozzesi sembra che in realtà si tratti più di libertà sessuale femminile, piuttosto diffusa nelle classi meno abbienti dell’epoca e comunque sempre poco comprensibile - e quasi sempre condannatissima come “pratica animalesca” - dai ceti privilegiati.
Fatto sta che “Enea rimase là solo, con due servi e una guida, fra cento femmine, che, fatto un gran cerchio intorno al fuoco, passavano la notte in veglia a mondar canapa e a scambiare lunghe chiacchiere. Trascorsa buona parte della notte, due giovanette condussero Enea, appesantito dal sonno, in una stanzetta con un pagliericcio, pronte a giacere con lui se richieste, perché tale è il costume del luogo”…
Cosa sarà successo? Il futuro papa, che racconta quando lo è già, non dice nulla. Anzi, proprio il fatto di aver resistito alle “tentazioni” lo avrebbe salvato dal pericolo: invece dei “ladroni” il trambusto avvertito nelle tenebre con “gran clamore di cani latranti e strepito d’oche” è quello provocato dall’arrivo di amici della gente del posto. Voto di castità quindi esaudito o solo stanchezza post coenam? Sarà andata così? Si sa che Enea non scrisse solo d’amore: ebbe anche figli illegittimi. D’altronde, nella Storia di due amanti, il suo Eurialo, di fronte a una Lucrezia in tunica leggera e aderente, non aveva potuto “resistere oltre all’eccitazione”…


Commento  musicale Gilles Binchois, Adieu, jusque je vous revoye

Il mattino dopo è di nuovo in viaggio e giunge a Newcastle-upon-Tyne, “città che dicono essere stata costruita da Cesare” (irreale: il "suo antenato” non superò mail il Kent). Ma “per la prima volta gli parve là di rivedere il mondo reale e la faccia abitata della terra… (I luoghi che aveva appena visitato) non hanno nulla di simile al mondo in cui abitiamo: sono terre selvagge, incolte e mai visitate neppure dal pallido sole invernale”. E dopo questo ritorno a una luminosità “naturale” un po’ di luce spirituale a Durham “per far visita al sepolcro del venerabile Beda” (e qualche notizia per la sua spedizione l’aveva presa certo dalla sua Historia Ecclesiastica Gentis Anglorum). Quindi è la volta di York “dove sorge una cattedrale famosa in tutto il mondo per vastità e bellezza” (storica rivale di quella di Canterbury fin dall’XI secolo, come ho scritto in Letture a proposito di quanto narrato da Eadmero nell'Historia novorum in Anglia).
La cosa divertente - e inquietante – è che durante questo ritorno in incognito Enea viene accompagnato da un giurista inglese che sputa fuoco e fiamme sul Trattato di Arras e maledice continuamente il cardinale Albergati definendolo “un lupo travestito da agnello”: “Chi non si meraviglierebbe dei casi della fortuna? Enea fu accompagnato e protetto fino a Londra da uno che, se l’avesse conosciuto, l’avrebbe subito gettato in prigione”.
Quella Londra tanto ammirata da cui però nessuno straniero può uscire senza lasciapassare. E allora, finale dolceamaro, non resta che “corrompere le guardie del porto – cosa tutt’altro che difficile con tal sorta di gente – che niente ha più dolce dell’oro”. Il diplomatico travestito da mercante ha salvato la pelle all’umanista: potrà tornare a leggere con comodo la condanna dell’”esecranda fame dell’oro” del suo Virgilio.
Non prima di aver attraversato mezza Europa in otto righe come nulla fosse per raggiungere l’Albergati al Concilio di Basilea: strade e assise da brivido.
Si ammalerà gravemente soltanto due anni dopo a Milano. E anche da questi terribili “settantacinque giorni di febbre ardente” riuscirà a riprendersi. Per continuare i suoi intrighi e venire incoronato, prima ancora che pontefice, poeta il 27 luglio 1442 dall’imperatore Federico III. Ma più che il versificatore latino, il cantore di una nuova Cinzia dopo quella di Properzio, resta il grande prosatore che lascerà la poesia agli architetti della sua Pienza rapito dai ben più prosaici impegni di papa e soprattutto - e sempre - di politico.