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sabato 7 novembre 2020

BLACK LIKE ME

NERO COME ME
IL CAPOLAVORO DI JOHN HOWARD GRIFFIN ANCORA ATTUALISSIMO
E MAI RISTAMPATO IN ITALIA DA 42 ANNI

Il nero. Il Sud. Ma sono particolari. La storia vera è quella universale,
di uomini che distruggono le anime e i corpi di altri uomini
(e con ciò distruggono se stessi)
per ragioni incomprensibili ad ambedue le parti in causa.
È la storia dei perseguitati, dei defraudati, dei temuti e dei detestati.
Potrebbero essere gli ebrei in Germania,i messicani in molti Stati
o i membri di un qualsiasi gruppo "inferiore".
Notereste una differenza soltanto nei particolari. La storia sarebbe identica.
John Howard Griffin


Pazzesco ma è così. Come i rigurgiti di razzismo oggi e chi ci specula in politica. Ho dovuto cercare fra i remainders per trovare la vecchia edizione Longanesi del ’67 (l’ultima ristampa è del ’78). Un uomo, uno scrittore, un libro dal coraggio formidabile frutto di un’esperienza dal vivo nel 1959 quando la lotta di massa contro la segregazione razziale negli USA era agli inizi (ma, in quanto a uguali e concreti diritti, abbiamo visto con la terribile morte di George Floyd ancora a che punto siamo).
Griffin - di cui non esiste neanche la pagina italiana in Wikipedia... - vuole provare sulla propria pelle cosa si sente a essere nero nel sud degli Stati Uniti e si sottopone a una serie estenuante di cure dermatologiche. Il risultato è tanto perfetto quanto orribile il senso di paura e persecuzione che il nuovo John Howard Black prova per tutti i quaranta giorni dell’esperimento attraversando Louisiana, Mississippi, Alabama e Georgia.
E non stiamo parlando di qualcuno vissuto nella bambagia: l’uomo aveva condotto missioni pericolosissime in Europa contro il nazismo partecipando in prima persona alle lotte della Resistenza francese ed era stato decorato per coraggio militando nell’aeronautica americana nel Pacifico, dove aveva curato i rapporti con gli abitanti delle Isole Salomone studiandone la cultura. Dopo aver subito gli esiti di un attacco di malaria spinale, a causa di un’esplosione, era rimasto cieco per undici anni (1946-57), ma aveva cercato sempre di vedere il lato positivo e pieno di speranza della sua condizione umana: “Non giudicavo le persone dal colore della pelle, ma solo da voci, affezioni e sentimenti. Lì ho capito tante cose che con la vista mi sfuggivano”.

Tenera scende la notte
Nera come me...

Tuttavia neppure tutta questa ricca e tormentata serie di esperienze riesce a contenere lo shock dei primi (e degli ultimi) giorni del suo reportage: “Di cosa avevamo paura? Non lo saprei dire esattamente… Eravamo vittime di quel terrore senza nome… Una cosa orribile e inspiegabile. Mi ricordava il timore costante e tormentoso che ci assillava in Europa quando Hitler iniziò la sua marcia trionfale e non osavamo parlare con gli ebrei (vergognandocene profondamente). Questa paura è onnipresente per tutti i neri del Sud e anche per molti bianchi onesti che si rendono conto della situazione, ne provano vergogna e ne sono umiliati”. E lui, texano bianco e onesto, provava ora a porvi rimedio. Il resoconto sarebbe stato pubblicato su Sepia, la rivista afroamericana più diffusa nel “Deep South”.

Claudette Colvin, attivista arrestata a 15 anni il 2 marzo 1955,
la prima a sfidare la segregazione sugli autobus a Montgomery (Alabama)

Il viaggio ha inizio a New Orleans il 28 ottobre, cinque anni dopo la prima sentenza della Corte Suprema che aveva iniziato ad aprire un varco nel muro della segregazione e due dopo l’intervento dell’esercito a difesa del diritto allo studio di nove studenti neri a Little Rock, in Arkansas. Il presidente Eisenhower si era impegnato in prima persona e il partito repubblicano conservava ancora barlumi di quella politica filoafroamericana che lo aveva contraddistinto all’epoca di Lincoln e, soprattutto, di Ulysse Grant, ma la reazione feroce del razzismo sudista contro la “mescolanza delle razze” rendeva faticosi – e traumatici – i primi tentativi di cambiamento. Le cose muteranno più rapidamente il decennio successivo quando, con Kennedy e Johnson, si trasformerà profondamente quel partito democratico che aveva proprio in molti suoi esponenti del sud – fin dalla fine della Guerra di Secessione - i principali difensori di questo apartheid (i famigerati “Dixiecrat”). Paola di Griffin: “I personaggi più abbietti non sono i razzisti ignoranti, ma i cervelli legali che gli servono da facciata”. Ironia della storia, il sabotaggio di questa lotta per i diritti civili sarà fatto proprio da una parte sempre più influente dei repubblicani, soprattutto da quella “Destra religiosa” che vede oggi in Trump il suo idolo.
Tornando invece al prologo del viaggio attraverso la notte di Griffin, il primo mentore è un amico lustrascarpe, Sterling Williams, e l’immagine del pranzo in un tegame di riso e rape riscaldati è già tutto un programma. New Orleans è meno peggio di altri posti, merito anche della forte presenza cattolica, meno disponibile alla propaganda razzista, specie in ambito colto ed ecclesiastico (siamo inoltre nell'epoca del rinnovamento di papa Giovanni e alle porte del Concilio). È un motivo di orgoglio per lo scrittore, convertitosi al cattolicesimo nel ’52 e laico carmelitano. Tuttavia anche qui si avverte già quel fastidio dei bianchi pronto subito a trasformarsi in odio verso qualsiasi nuovo atteggiamento della popolazione di colore: “Nel mormorio di una conversazione la parola ‘nigger’ spicca come un lampo accecante”.

E quando contemplavo quella Terra di Nessuno
nella quale era stata isolata l'intelligenza nera in America,
mi domandavo se fosse mai esistito, in tutta la storia dell'umanità,
un attacco più corrosivo e devastatore del concetto della discriminazione razziale.

Ma il peggio deve ancora venire e John Howard lo vivrà sulla propria pelle nei passaggi in Mississippi e Alabama.
Il primo è un viaggio in autobus, mezzi di trasporto che già  in città si fermano solo quando deve scendere un bianco: dieci ore di viaggio con una sola sosta dove ai passeggeri di colore è vietato scendere. La segregazione dei servizi igienici e l’assoluta scarsità di quelli riservati ai neri è un vero e proprio dramma in tutto il profondo Sud (e non solo: anche fuori dai ghetti di buona parte del resto del Paese o alla stessa NASA, come ben rappresentato da quello splendido film che è Il diritto di contare).

Katherine Johnson, matematica, informatica e fisica:
la sua vita e la sua lotta antirazzista hanno ispirato il film.

La tirannia sui bisogni fisiologici delle popolazioni emarginate è il più eclatante di tutta quella serie di piccoli orrori quotidiani messi in atto da maggioranze silenziose e rabbiose. È qualcosa che hanno conosciuto i nostri emigranti e che conoscono bene anche tanti nostri immigrati. Impedire l’igiene è il mezzo più sporco per condannare come “sporco” (fuori e quindi dentro) chi viene emarginato, anzi, la massa degli emarginati, privati della loro individualità: “Una parte importante della mia vita quotidiana era dedicata alla ricerca di certe cose elementari che i bianchi danno per scontate: un luogo dove mangiare o dove lavarsi le mani o dove bere un bicchier d’acqua… Imparai a mangiare molto se mi si presentava l’occasione, perché forse non ne avrei più avuto l’opportunità quando avessi sentito i morsi della fame… A volte bisognava percorrere chilometri per avere un bicchier d’acqua… Qui non si respirava più l'aria d'America. Avevo l'impressione di trovarmi in un paese ignoto e sinistro”.

Essere nero in questo paese ed esserne relativamente cosciente
significa provare una rabbia quasi continua

E infatti sono luoghi da incubo, teatro di tanti film horror dagli anni ’70 in poi (ma ci aveva già pensato il grande Roger Corman con L’odio esplode a Dallas, uscito nel ’62), dove passare da bianco a nero è come mettere gli occhiali di Essi vivono e scoprire dietro la gentilezza tanto sbandierata dell’”uomo del Sud” il ghigno del boia. Un carnefice che vive comunque in zone economicamente depresse e connotate da un moralismo religioso tanto ipocrita quanto spietato. Perché la “Bible Belt”, la “Cintura della Bibbia” del meridione degli Stati Uniti, col suo culto del testo sacro versione Re Giacomo e il “marchio di Caino” che aveva giustificato la schiavitù, era il luogo per eccellenza della repressione sessuale. Vissuta in primis dai bianchi stessi e poi sfogata sugli ex-schiavi col ferreo divieto di non fissare una donna bianca neppure se riprodotta sui manifesti dei cinema. Un errore che Griffin commette, per fortuna senza essere visto. Era ancora fresco il ricordo del terribile linciaggio di Mack Charles Parker, ingiustamente accusato di stupro in aprile nella contea di Pearl River (Mississippi).

Due fra i tanti martiri del razzismo negli Stati Uniti: il giovane Parker quando era ancora nell'esercito, vittima della menzogna e dell'isteria; Viola Liuzzo, attivista massacrata nel 1965 dal Ku Klux Klan di ritorno da Selma, vittima anche post mortem, proprio perché donna e "bianca", di una campagna mediatica di fango.

Sarebbe stato l’ultimo alla luce del sole (chiaramente senza colpevoli né condanne), non ci sarebbero state più le ripugnanti cartoline con la folla festante intorno al cadavere, ma chi poteva saperlo? Essere minacciati per gli afroamericani era la norma, con la Spada di Damocle onnipresente delle abominevoli Leggi Jim Crow. Di rivolgersi alla polizia locale neppure a parlarne: basta aver visto MississippiBurning del compianto Alan Parker o il meno conosciuto ma sempre ottimo Gang in Blue dei miei amati Melvin e Mario Van Peebles (il primo del 1988, il secondo del ’96, ma se pensiamo cos'è successo ancora nel 2020). L’FBI agiva a singhiozzo, ostacolata dal suo stesso direttore, l’inquietante John Edgar Hoover. La resistenza passiva era la pratica quotidiana. O l’indifferenza, il torpore descritti da un protagonista della poesia afroamericana (e non solo) come Arna Bontemps.

Gli anni vanno a ritroso con un risuonare di ferro,
Una mano sulla porta,
Una foglia secca vibra sul muro.
Gli spettri camminano,
Hanno calpestato le rose,
Mentre i pioppi si drizzano immoti come la morte.

Oppure - o insieme - il rifugio nella musica e nello sport (quando va bene); nel sesso machista e nell’alcool (quando non c’è altro): uniche distrazioni da una vita resa impossibile. Ecco allora il mito dell’animalità del “negro” (cavallo da parata alle Olimpiadi o carne da macello per le guerre) che tanto ripugna e attira il razzista. Memorabili le pagine dedicate ai passaggi in auto ricevuti da bianchi la notte per ascoltare i racconti delle presunte prodezze sessuali dei neri. C’è addirittura chi chiede a Griffin di mostrargli i genitali! Chi ha visto quel gioiello di Ed Wood di Tim Burton ricorderà il produttore di Glen or Glenda che diceva che i film morbosi avevano successo specie fra i “bifolchi” del sud (tanto per cambiare un altro tipo di razzismo, che il sottoscritto si ricorda bene anche da noi). Quando a dare un passaggio allo scrittore è un giovane incredibilmente normale, senza pregiudizi, che tratta il passeggero come la moglie da pari a pari - non dimentichiamo che l’odio delle donne bianche, specie se anziane, era particolarmente rancoroso proprio a causa della loro stessa condizione opprimente - ed è solo entusiasta e parla con amore del bambino che gli è appena nato, anche per chi legge è un momento di indescrivibile respiro.

Puoi spararmi con le tue parole,
puoi tagliarmi coi tuoi occhi,
puoi uccidermi con il tuo odio,
ma ancora, come l’aria, mi solleverò.

Ma la norma è violenza sessuale esercitata in ogni dove ai danni delle donne afroamericane, costrette dalla miseria a servire e a prostituirsi. In Alabama un conducente di autocarro, che viaggia con tanto di fucile accanto (per la caccia ai cervi dice lui), lo fa presente in modo brutale e senza alcun pudore al nostro eroe: “Mi disse che tutti gli uomini bianchi della regione vanno pazzi per le ragazze negre. Ne aveva assunte parecchie per i lavori di casa e per l’ufficio. ‘E me le sono passate tutte… No, non rifiutano se vogliono mangiare o dar da mangiare ai bambini… Beh, che diavolo, lo fanno tutti… Vi facciamo un favore dando un po’ di sangue bianco ai vostri bambini’”. Alla faccia del culto della “purezza della razza” e dell'orrore tanto esibito per il “meticciato”! Un bel ritratto delle continue contraddizioni di questo mondo alienato. È sempre lo stesso personaggio, tanto concreto quanto vero e proprio simbolo di tutto un universo oscurantista, a mettere in chiaro con fredda ferocia - “I suoi simpatici occhi azzurri erano diventati giallastri… L’immensità del suo odio mi sconvolse” - alcuni punti fermi della nuova reazione alla lotta per i diritti civili:
“Provate a seminar zizzania tra questi ‘nigger’ e com’è vero l’inferno vi sistemiamo noi”.
“Si può uccidere un negro e gettarlo in quelle paludi e nessuno saprà mai che fine abbia fatto”.
“Noi accettiamo i vostri quattrini se volete comprar qualcosa. E naturalmente ci prendiamo le vostre donne. Ma per tutto il resto è come se voi non esisteste nemmeno. E più presto ve lo ficcherete in testa, meglio sarà”.


A questa crescendo agghiacciante va aggiunto quanto aveva risposto il caposquadra di una fabbrica di Mobile, sempre in Alabama, a John Howard Black vanamente alla ricerca di un lavoro decente: “Stiamo eliminando tutti voi dai posti migliori in questa fabbrica. Ci vorrà del tempo, ma ci riusciremo. Ben presto gli unici lavori che potrete fare saranno quelli che un bianco non accetterebbe mai”.
Senza contare le continue incursioni in auto con insulti, se non peggio, dei suprematisti nei ghetti in pieno giorno e i falò poco rassicuranti del Ku Klux Klan di notte, lo squallore delle condizioni abitative, la carente e costosa assistenza sanitaria, l’impossibilità di accedere a un’istruzione decente, le tasse pagate senza avere nulla in cambio, l’indebitamento perseguito come politica da banche e usurai bianchi (spesso la stessa cosa), l’impossibilità quasi ovunque di esercitare il diritto di voto grazie a cavilli o a veri e propri esami di ammissione impossibili da superare (ricordo  che ancora oggi in quasi tutti gli stati degli USA, specie al sud, le leggi che impediscono il voto a chi ha commesso reati anche se scontata la pena - le antiquatissime “felony disenfranchisement - riguardano milioni di potenziali elettori, soprattutto appartenenti alle minoranze)… Direi che solo questo può bastare.
Non c’è quindi da stupirsi che le grandi migrazioni degli afroamericani dal Sud verso le città del Nord siano durate fino ai primi anni ’70 (dall’inizio del ‘900 parliamo di più di 6.000.000 di persone). Tuttavia la popolazione di Mobile, alla faccia di queste cupe profezie, è ancora oggi in maggioranza nera e dal 2005 al 2013 è stata governata dal primo sindaco afroamericano, il democratico Sam Jones.


È giunto quindi il momento di affrontare le pagine della speranza, perché questo era l’obiettivo di Griffin e i tempi erano finalmente maturi. Una speranza che poteva realizzarsi solo creando unità fra gli oppressi in una lotta pacifica, senza altri razzismi di reazione o ritorni impossibili in Africa (il triste caso di come è andata in Liberia sta a dimostrarlo). In Alabama, a Montgomery, il modello è naturalmente Martin Luther King: “Mentre in tutto il Sud l’azione dei neri - Nota Bene: scrivo ‘neri’ invece del vetusto ‘negri’ della traduzione di Lisa Morpurgo in era pre-astrologica – manca di unità e di coordinamento, a Montgomery è retta con mano salda dal reverendo King… Il razzista bianco è stupito e irritato da questo atteggiamento, perché il suo modo di comportarsi indegno è messo in risalto dalla presa di posizione dei neri”.
Ad Atlanta, in Georgia (terra di origine dei Griffin), grazie alla politica illuminata del sindaco Hartsfield (in carica fino al 1962) e alla tradizione organizzativa della comunità nera in campo economico e culturale, il cambiamento è già in atto. Merito anche dell'accordo bipartisan del '49 tra i politici afroamericani J. W. Dobbs (repubblicano) e A. T. Walden (democratico) che si erano uniti per formare la Lega dei Votanti Neri di Atlanta. Non è quindi un caso se la città è governata ininterrottamente dal 1974 da sindaci neri (spesso in conflitto coi governatori dello stato, come anche in questi ultimi mesi riguardo all'uso delle mascherine contro il Covid-19, sostenuto con forza dalla sindaca Keisha Lance Bottoms). Il problema, come al solito e non soltanto nel sud degli Stati Uniti, sono le piccole realtà urbane e le zone rurali, di frequente sovradimensionate come peso elettorale stile "borghi putridi" inglesi dell'Ottocento. Inoltre ad Atlanta era ed è attivo il quotidiano Atlanta Constitution, che differiva dalla gran parte dei media meridionali piene di "fake news" - dice qualcosa? - contro i "colored", grazie soprattutto ai coraggiosi editoriali di Ralph McGill, Premio Pulitzer proprio nel 1959.


Tuttavia neppure qui mancano gli episodi sgradevoli che hanno costellato l’odissea dello scrittore, che decide di tornare all’abituale colorito della pelle. Prima saltuariamente, in apparenza quasi schizofrenico, ma lui ormai era l'altro, aveva capito fino in fondo che l'altro è in lui, in noi e una volta compreso questo nulla è più come prima. Nelle ragioni della scelta definitiva della pigmentazione, da vero scrittore, da grande essere umano, è assolutamente sincero: “Mi sentii atterrito quando mi resi conto che se la mia pelle fosse rimasta nera anche i miei figli sarebbero stati condannati senza esitazione a una vita di miseria… Il ritorno alla vita da ‘bianco’ mi lasciava sempre smarrito sulle prime. Dovevo controllarmi per non lasciarmi sfuggire quelle parole un po’ sboccate che i neri usano correntemente fra loro…Mi resi conto che, se come nero, ero piuttosto ben vestito, come bianco parevo un miserabile…Il poliziotto mi salutò con un affabile cenno del capo… Fui invaso da una strana esultanza, da un senso di liberazione… Andai a gabinetto e nessuno mi fermò per chiedermi: ‘Che ci fai tu qui, nigger?’… Poi non provai più alcuna gioia. Vedevo volti sorridenti e cortesi. I volti dell’uomo bianco che guarda il suo simile, ma ricordavo benissimo anche il suo altro volto, quello carico di odio. Quel miracolo aveva un sapore amaro... Mi sentivo stranamente malinconico all'idea di lasciare il mondo dei neri dopo esserci vissuto a lungo, partecipando ai suoi dolori e alle sue pene". Un'immagine condivisa dal fotografo Dan Rutledge, che aveva accompagnato Griffin nelle ultime tappe del suo viaggio e "mentre fotografava certe scene si rendeva conto che quegli uomini e i loro ideali erano del tutto sconosciuti alla maggior parte degli americani, e troppo al di là della comprensione dei razzisti del Sud".
Ma nel 1959 era la decisione più efficace. Diversamente il libro, rivisto anche con la partecipazione dei più importanti esponenti della comunità nera di Atlanta, non avrebbe l'impatto che doveva avere e l'autore non avrebbe potuto muoversi liberamente. Non dimentichiamoci poi che abitava in Texas...

Griffin intervistato dalla star del giornalismo televisivo Mike Wallace

Dopo qualche giorno di pausa corroborante per lo spirito ospite del monastero trappista di Conyers - "Un bianco che viene in un monastero trappista non è il tipo che tenga un occhio a Dio e l'altro al colore della pelle del suo prossimo" - e la rilettura di qualche brano dell'amato Jacques Maritain ("egli descriveva tutti i razzisti di ogni luogo e di ogni tempo"), lo scrittore torna ad abbracciare la famiglia: "Vidi arrivare la macchina coi bambini che gridavano e agitavano le mani dai finestrini. Poi sentii le loro braccia attorno al mio collo - emozione che aveva provato anche coi sei figli di una dignitosa e poverissima famiglia contadina nera in una baracca sperduta nei boschi dell'Alabama - e nell'entusiasmo di quella riunione mi balenò nella mente il ricordo di tanti pregiudizi e fanatismi cui avevo assistito. 'Signore Iddio" mormorai 'perché gli uomini si comportano così in un mondo che pure ci riserva gioie come queste?'".


Il sogno dell'integrazione diventerà realtà di lì a poco, ma, come sappiamo, è sempre in fieri. E l'uomo che era stato e continuava a essere bianco e nero pagherà cara  la sua missione. Minacce continue, l'impiccagione in effigie nella sua Mansfield, il trasferimento della famiglia in Messico e poi il cambio di residenza a Forth Worth. Nel 1964 riceverà, insieme al presidente John Kennedy (alla memoria), il prezioso Premio Pacem in Terris conferito dalla Diocesi di Davenport (Iowa). Nello stesso anno matura il film tratto dal libro, diretto dai coniugi Carl e Gerda Lerner, da sempre impegnati nella lotta contro le disuguaglianze negli USA (e naturalmente ex Lista Nera del maccartismo).
La morte nel 1980 a soli sessant'anni - verrebbe voglia di dire "Muore giovane chi è caro agli dei" - non intacca minimamente la forza viva e contemporanea dello scrittore. È ancora qui, in queste pagine ingiallite,  colorate, mentre dialoga col reverendo afroamericano Samuel Williams:
"'Ho speso tanti anni' mi disse 'per studiare il fenomeno dell'amore.'
'E io ho speso anni per studiare il fenomeno della giustizia.'
'In fondo abbiamo studiato la stessa cosa'".


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