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lunedì 26 gennaio 2015

PALLADIO, "LA STORIA LAUSIACA"

“Marciamo verso distese deserte,
Verso gli spazi incendiati del mondo,
Là dove il Sole Titano è smodato
E rara e scarsa l’acqua delle fonti...
Duro, aspro il cammino verso la legge.”
Lucano, Farsaglia IX, 382-5
(trad. Luca Traini)


Io e Palladio di Galazia abbiamo ben poco in comune, ma la sua Storia Lausiaca mi appassiona da più di trent’anni. Questa specie di autobiografia tutta condita di profili di anacoreti e cenobiti nel deserto non era parte del background della mia nonna materna, rapita da agiografie più recenti, e lo stesso Elpidio narrato nel capitolo 48, con tutti i suoi problemi di identificazione, era venerato a Sant’Elpidio a Mare e non a Porto Sant’Elpidio, dove abitavo con lei e il patrono era san Crispino (calzolaio in un paese di calzolai come mio nonno), quello citato da Shakespeare nell’Enrico V.


Il mio interesse per la Storia Lausiaca risale a più tardi, quando ero ormai a Varese, al liceo. Amore a prima vista per la copertina della sua edizione Valla Mondadori, Anno Domini 1983: meravigliosa alla vista, al tatto e all’olfatto.

"Io che sto vivendo il trentaquattresimo anno di comunione con i fratelli e di vita monastica, il ventesimo di episcopato e il cinquantaseiesimo della mia intera esistenza, poiché tu desideri conoscere le vicende dei padri, uomini e donne - quelli che
ho visto e di cui ho udito parlare e quelli con cui mi sono intrattenuto in Egitto, in Libia, nella Tebaide e a Siene (là
dove vivono i monaci Tabennesioti), e ancora in Mesopotamia, in Palestina, in Siria, e nelle regioni d'Occidente, a Roma e
in Campania e nei luoghi circostanti -, per te ho deciso di esporre tutto fin dal principio, sotto forma di narrazione, in questo libro".
Palladio, Storia Lausiaca, Dedica dell'opera a Lauso

Con quel dettaglio così vivace della Tebaide dell’Angelico che tutto ricorda fuorché un deserto. Il rosso dei vestiti di due leggiadre fanciulle, l’aspetto bonario dei monaci che sembrano usciti dal Decameron di Boccaccio, le celle più simili alla casa di Paperino. L’insieme della tavola è chiaramente la Toscana dei santi e dei mercanti che prelude all’Umanesimo.


Il vero Egitto e il suo deserto si sarebbero rivelati in  tutta la loro asprezza all’inizio dell’università, fra corsi di filologia bizantina e di latino medievale.


File:Christine Mohrmann (1953).jpg
Il mio idolo: Christine Mohrmann, grande studiosa della Scuola di Nimega,
autrice dell'Introduzione alla Storia Lausiaca e curatrice
della collana Vite dei santi (dal III al VI secolo).

La mia passione per l’età tardoantica prevedeva un’altra iconografia, anzi, vere e proprie icone con personaggi dagli occhi grandi come lemuri, in grado di vedere la divinità fra le tenebre.

Il Cristo Salvatore e san Mena, icona egizia del VII secolo


Un fiume carsico che dilaga in superficie

Il IV secolo, dopo le convulsioni del III, è il secolo della tumultuosa, progressiva e definitiva rottura  con quanto siamo soliti definire “età classica” dell’impero romano. La nuova morale cristiana, dai successi sotto Costantino al trionfo con Teodosio, è un fiume carsico che dilaga in superficie ricoprendo ansie antiche e nuove necessità. La crisi a livello sociale resta profonda. Lo splendore apparente della stessa età classica dell’impero (I e II secolo) era sempre stato appannaggio di una minoranza e, una volta finita l’epoca delle grandi conquiste, le briciole a disposizione delle grandi masse impoverite da più di un secolo di lotte interne erano ancora meno.


File:Solidus multiple-Constantine-thessalonica RIC vII 163v.jpg
Solidus aureo di Costantino I
(Classical Numismatic Group, Inc. www.cngcoins.com)

Né le riforme del “pagano” Diocleziano (certo persecutore, ma animato da pii propositi come il calmiere dei prezzi) né tanto meno quelle del “cristiano” Costantino, che col suo solidus aureo diede un altro duro colpo anche alle classi medie cittadine, riuscirono a risolvere il problema, anzi, lo aggravarono, sclerotizzando l’apparato produttivo (l’immagine tipo è quella del “servo della gleba”).



Se lo spostamento del baricentro amministrativo a Oriente (prima a Nicea e poi a Costantinopoli) permise la sopravvivenza dello stato e, ciò che più contava, del suo esercito, il prezzo da pagare fu tuttavia una tassazione ancora più dura e capillare a carico delle grandi masse lavoratrici. Alternative: la rivolta (e ce ne furono tante), la cupa disperazione, la fuga e la speranza in un altro mondo. Il cristianesimo – e il monachesimo in particolare – fornivano uno sbocco a queste ultime due.



Crisi materiale: contraltari intellettuali e spirituali


File:Soffitto affrescato del palazzo di Crispo a Treviri.jpg
Soffitto affrescato del Palazzo di Crispo, figlio di Costantino I, a Treviri

"A causa della materia, quindi, il cosmo è oscuro e tenebroso,
ma è bello e amabile per l'intrecciarsi delle forme che lo adornano,
per le quali è chiamato cosmo".
Porfirio, L'antro delle ninfe, 6

"Una volta chiesi all'asceta Doroteo nella Tebaide:
'Che fai, padre? Perché tu così vecchio, in questa calura,
vai uccidendo il tuo debole corpo?', ed egli rispose:
' Mi uccide, e io uccido lui'".
Palladio, Storia Lausiaca 2, 2

Non era una novità. La mente si era già allontanata da corpo non più sano dell’impero. La grande fuga delle masse dal mondo della religiosità capitolina verso nuove forme di credo era un dato di fatto e la cima dell’iceberg, la sua immagine rarefatta a livello di élite colta era ben rappresentata dalla filosofia neoplatonica, con il suo assoluto ripudio della realtà materiale. Il cristianesimo, fatta eccezione per chi si era attardato nella fiducia di una qualche parusìa della divinità, non era stato così drastico, ma l’influenza di questo pensiero era sta fin troppo presente in uno dei suoi grandi teologi, Origene, che, con la sua autocastrazione, l’aveva messo in pratica coniugandolo all’”eunuchi per il regno dei cieli” del vangelo di Matteo.

File:Origen emasculating himself (MS. Douce 195).jpg
Origene in una miniatura del Roman de la Rose (Francia XV sec.)
"Ebbene, io ho trovato questa annotazione in un antichissimo libro di scrittura stichica, in cui di pugno di Origene
sta scritto: 'Ho trovato questo libro presso la vergine Giuliana di Cesarea, quando ero nascosto presso di lei'.
E lei diceva di averlo ricevuto dalle mani di Simmaco (l'Ebionita), l'interprete degli ebrei".
Palladio, Storia Lausiaca 64,1

Materia uguale miseria, non più alleviata dai classici evergeti, ma redenta dalla Chiesa per mezzo di donazioni distribuite in beneficenza oppure diventando poveri tout court, voto di povertà ("Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi e dallo ai poveri... poi vieni e seguimi", Matteo 19,21), “I poveri li avrete sempre con voi” (Marco 14,7) in qualità di anacoreti o cenobiti: in solitudine, sull’esempio di Antonio; in gruppo, seguendo la vocazione a un nuovo santo gregge di PacomioModello di questa opposizione non violenta all’ordine costituito è certo Giovanni Battista (legato o meno che fosse agli Esseni, alla comunità di Qumram o ai Terapeuti descritti da Filone di Alessandria) anche se, sottotraccia e specie nelle frange più estreme, non mancano riferimenti agli esempi classici di cinici e pitagorici (con relativi culti misterici) così come a precedenti in ambito mediorientale - gli schiavi del sacro o ieroduli - o più specificatamente egizio, è il nostro caso, con i “katochoi” del tempio di Serapide a Menfi. Senza dimenticare l'influsso, anche se molto filtrato, del misticismo indiano, quei gimnosofisti con cui era entrato in contatto Alessandro Magno (e di cui poi avrebbe narrato anche Filostrato nella sua Vita di Apollonio di Tiana, una delle mie prime passioni letterarie). In cambio i Greci avevano donato ai monaci buddisti un volto ellenistico per Siddhārtha Gautama. Si trattava di quell'Arte del Gandhāra che avrei imparato ad amare nella collezione del Museo Archeologico di Milano.

File:Milano - Museo archeologico - Arte di Gandara - Foto Giovanni Dall'Orto - 11-Aug.2003.jpg
Vedi anche in New Augmented Philosophy, Interaction 2 (Foto di G.dallorto)

Comunque sia la gara di privazioni e mortificazioni del corpo scatenata dal monachesimo cristiano stupiva fino a un certo punto le masse contadine: erano in buona parte sofferenze a cui erano state costrette ad abituarsi. La sintonia fra questi strati sociali, che spesso confluivano l'uno nell'altro, e, soprattutto, l'adesione a questo modello di vita da parte di non pochi esponenti dell'élite (fra cui numerose donne) erano viste con sospetto non solo dalle autorità imperiali ma anche dalle gerarchie cattoliche. Ne dà un'ottima testimonianza l'Agostino di Ippona di Rossellini (Anno Domini 1972: una critica neanche tanto larvata a certi aspetti di rifiuto neoanacoretico della contestazione giovanile di quegli anni).




Un nuovo cursus honorum

Per la prima volta dai tempi dell'Atene democratica e della Roma arcaica tornava in primo piano - e sottolineato con più forza - il valore del lavoro manuale, quell'ora e labora che verrà teorizzato più tardi dai benedettini. Il monaco Pambo, discepolo di Antonio, ricordava con orgoglio: "Da quando sono venuto nel deserto non mi ricordo di aver mangiato 'un pezzo di pane dato in dono' (Paolo, Lettera II ai Tessalonicesi) fuori dell'opera delle mie mani" (10, 6). Macario di Alessandria per  farsi accogliere nella severissima Regola dei monaci di Tabennisi, nella Tebaide, "si travestì assumendo la veste secolare di un operaio" (18, 12). Siamo davvero in un altro mondo rispetto a otium negotium ciceroniani. Un cursus honorum da contadini e operai dovrà attendere Marx e Lenin per tornare in auge. Nel frattempo lo troviamo in diversi curricula di molti professionisti della nuova meditazione religiosa: domestico (Mosè l'Etiope), carpentiere (Giovanni di Licopoli), contadino (Paolo il Semplice), pastore (Macario il Giovane), fabbricante di balsami (Amun della Nitria), schiavo (Sisinnio).


File:MTBcrop.jpg
Mosè l'Etiope, affresco del monastero di San Giorgio a Mariovo (metà XIV sec.).

Il monachesimo, inoltre, fu occasione di riscatto sociale per chi non parlava la lingua dell'élite, il greco (Antonio Abate in primis e Pacomio vi riesce solo "per miracolo"), per chi non sapeva leggere e scrivere (ma, per esempio, coltivava alla grande l'ars mnemonica come Pafnuzio soprannominato per questo Cefala) e per quelle popolazioni che erano state tenute ai margini dal potere greco-romano: libici (Stefano), etiopi (Mosè), palestinesi (Valente). E naturalmente egizi doc con Antonio Abate e Pacomio sempre in prima fila, seguiti da Macario l'Egiziano (ritiratosi nel deserto più interno chiamato Scete), dalla vergine Piamun (che riesce a sedare una di quelle feroci lotte fra villaggi per la spartizione dell'acqua di cui nei libri di storia non si parla quasi mai), Pior, Abramio e la bellissima vergine Taor, che, per quanto vestita di stracci da trent'anni, "aveva il volto di un naturale così perfetto che anche l'uomo più rigido rischiava di sentirsi affascinato dalla sua bellezza" (59, 2).


File:Assisi zosimus.jpg
Giotto, L'eremita Zosimo e Maddalena (in realtà Maria Egiziaca), Assisi

Riflesso spirituale della materialissima affermazione di nuove classi dirigenti dalla periferia al centro al seguito di imperatori della penisola balcanica (da Massimino il Trace a Diocleziano e Costantino la lista è lunga), questa nuova gerarchia fondata sul lavoro sarebbe rimasta confinata fra le quattro mura dei monasteri e solo in tempi e zone particolari (e sotto il regime di guide spirituali inflessibili come gli autocrati della politica). In parallelo a successi e panegirici delle dinastie militari emergenti si stagliano anche al sole abbacinante del deserto i trionfi dei monaci contro la "classe dominante dei demoni" (22, 9). La giovane Alessandra si fa chiudere in una tomba per dieci anni per non indurre in tentazione il giovane che si era innamorato di lei (5, 1). Paolo di Ferme si dispera perché riesce solo a recitare trecento preghiere al giorno e una vergine di un villaggio vicino, rodata da trent'anni d'ascesi e mangiando solo il sabato e la domenica, arriva a dirne settecento (20, 1-2). Macario di Alessandria accumula record eliminando cibi cotti per sette anni, riducendo la razione di pane a bricciole, l'acqua a poche gocce, restando in piedi per quaranta giorni mangiando solo poche foglie di cavolo e punendosi, per aver ucciso una zanzara, restando immobile in una palude in mezzo al deserto infestata da "zanzare che sono simili a vespe e feriscono anche la pelle dei cinghiali. Così il suo corpo diventò tutto una ferita e mise fuori tanti gonfiori che alcuni pensarono si fosse ammalato di elefantiasi. Quando ritornò, dopo sei mesi, nella sua cella, solo dalla voce si riconobbe che era Macario" (18, 4).
E' necessario sottolineare che eremiti e monaci di Palladio, pur nei loro modi estremi, rifuggono dagli eccessi di altri asceti, come i "boskoi" descritti da Evagrio di Epifania nella sua Storia ecclesiastica, che, molto simili all'archetipo dell'"Uomo selvatico", pascolavano a quattro zampe nella Siria dell'epoca. Gli eroi della Lausiaca, come d'altronde gli "stiliti", privilegiano posture degne della statuaria classica, in una gara neanche troppo simbolica con le pose di magistrati e imperatori.


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Fra i grandi asceti di norma si è soliti mettere anche Girolamo (qui nel capolavoro di Leonardo), che però non era affatto amato da Palladio: "Un presbitero, Girolamo, abitava in quei luoghi, un uomo che spiccava per la sua valentia nelle lettere latine e per naturale talento: ma nutriva in sé una tale gelosia che ne veniva oscurata la bravura letteraria. Posidonio di Tebe, dopo aver trascorso con lui vari giorni, mi disse all'orecchio: 'La nobile Paola, che si prende cura di lui, morirà prima e così si libererà, credo, della sua gelosia.
A causa di quest'uomo non sarà possibile che un santo abiti in questi luoghi". 
Palladio, Storia Lausiaca  36, 6

Pur di entrare in questo Guiness delle mortificazioni anche le nobildonne romane fanno la loro parte. La "meravigliosa e santa" Melania, grande amore di Palladio, sopporta stoicamente la feroce calura del deserto affermando che "in sessant'anni di vita, né il mio piede né il mio viso né alcuna delle  mie membra ha mai toccato acqua, tranne l'estremità delle mani (per prendere l'ostia durante l'eucaristia); sebbene sia stata colpita da diverse malattie e assillata dall'insistenza dei medici" (55, 2). Donna coltissima, aggiunge a questo record anche quello di lettura di Sacre Scritture e antichi commentatori: "E non li lesse semplicemente come capitava, ma percorse con faticoso impegno ogni libro sei o sette volte" (55, 3).


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Grotta di San Macario nel deserto della Nitria, oggi Wādī al-Natrūn, Egitto (foto di Faris knight)



Fuga dalla civitas


Ci si allontanava sempre di più dalla città, dal fulcro della civitas romana - un ritiro cosciente (parliamo di decine di migliaia fra uomini e donne nel solo Egitto) riflesso della progressiva erosione dell'economia cittadina che datava dalla crisi del III secolo (se non dalla terribile epidemia di peste della fine del II). Ne danno testimonianza non solo il rifiuto di cariche nel campo del potere laico, ma anche quello dell’investitura ecclesiastica in ambito metropolitano. Un discepolo del sopracitato Pambo, Ammonio, “straordinario conoscitore dei libri sacri”, viene invitato con insistenza a diventare vescovo e per tutta risposta si recide a colpi di forbice l’orecchio sinistro fino alla base: “Ecco, da questo momento sarete convinti che per me è impossibile diventare vescovo, giacché la legge (Levitico 21, 17) proibisce di elevare al sacerdozio chi è mutilato di un orecchio… Se voi cercherete di obbligarmi con la forza, mi taglierò la lingua”(11, 2-3). Il potere civile è ormai diabolico in senso stretto anche se a rivestirlo è l’esponente di una delle dinastie senatorie fra le prime a diventare cristiane: gli Anici (vedi Il Dittico di Aosta).


"Nella Basilica di Costantino, in San Pietro, accanto a mio padre, riposava anche sua moglie, Anicia Faltonia. E se lui era stato il tronco vigoroso, mia madre fu la linfa spirituale della famiglia. Cristiana da generazioni. Da quando, raccontava, il nostro augusto Carino, gravemente malato, si era salvato grazie all’intervento dei santi medici Cosma e Damiano. Mica per niente avevamo costruito un palazzo sull’Isola Tiberina, dove sorgeva il tempio di Esculapio. Se poi il caro autocrate si fosse convertito del tutto o avesse tenuto il ritratto di Cristo in una cappella privata, magari insieme a quelli del mitico Orfeo e del santo pagano Apollonio di Tiana, non lo diceva. Sentenziava solo che la nostra salvezza era partita da lì".
(Luca Traini, Il Dittico di Aosta, TraRari TIPI, 2006)

Il governatore Faltonio Probo Alipio, infatti, fa visita al monaco Giovanni di Licopoli, che confida a Palladio: “Quell’uomo è asservito al diavolo a causa della sua attività mondana e, avendo trovato un momento di respiro, come uno schiavo che fugge dal padrone, è venuto per essere aiutato”. Questa ossessione del monachesimo più integralista contro la “città dell’uomo” corruttrice lascerà pesanti strascichi, ancora vivi, trionfando in un fanatismo parallelo, quello dei Khmer Rossi, dalla ferocia ben irrorata dalla semina di bombardamenti “acroamatici” di Nixon e dall’anarchia militare di Lon Nol.

Sbiadirono i colori squillanti dell'antico ordine sociale espressi in opere architettoniche, pitture e sculture avviate verso quello spoglio candore che avrebbe caratterizzato le rovine di un'epoca (rovine su cui piangere – e c’è ancora chi le piange - alla stregua di un Geremia o, contraltare, Rutilio Namaziano). In un certo senso fra gli eremiti ci fu un primo embrione di amore per la natura incontaminata, sentimento ignoto agli antichi (escluso l’imperatore Adriano e pochissimi altri). Ma nel deserto trionfò su tutto la luce abbacinante del sole, che avrebbe fatto il paio con l'oro dei mosaici per il tramite del solidus aureo di Costantino.


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Mosaico delle tre Grazie (III-IV sec.), Museo Nazionale di Egnazia, Savelletri di Fasano (foto di val reid)


Nigra sum sed formosa

Ombra dominante in tutto questo splendore, il terrore della sessualità vista come condanna del peccato originale (teologia), piacere che impedisce all’anima di contemplare il "Bene" (filosofia), riproduzione fisica di un ordine sociale oggetto di rifiuto (politica). L’ossessione per la castità (tutt'altra cosa dall'odierno culto della famiglia) e la lotta feroce, soprattutto maschile (basti pensare a tutti i privilegi erotici del cives), contro il più naturale (e culturale) degli istinti raggiunge il culmine proprio nella tarda antichità. Esemplare l'incontro dello stesso Palladio col vecchio Pacone: "Ora avvenne che io tormentato da un desiderio di donna fossi senza pace e nei pensieri e nelle visioni notturne. Giunsi addirittura vicino alla decisione di lasciare il deserto... Non volli confidare il segreto neppure al mio maestro Evagrio" - che pure se ne intendeva dato che si era fatto quasi congelare restando nudo in pieno inverno in fonda a un pozzo pur di resistere al "demone della lussuria" - "ma segretamente penetrai nel grande deserto e per quindici giorni stetti a colloquio con i padri che erano invecchiati nella solitudine della Scete. Fra questi incontrai anche Pacone..



Ed egli mi disse: 'Ecco, tu vedi in me un uomo vecchio... Ebbene, pur avendo quest'età anche ora provo tentazioni... Per dodici anni il demonio non mi ha concesso né una notte né un giorno di tregua dai suoi assalti... Decisi di fare una morte irragionevole piuttosto che cadere nella vergogna a causa della passione carnale. Uscii e dopo aver vagato per il deserto trovai la spelonca di una iena; in questa tana mi collocai nudo, durante il giorno, perché le bestie feroci mi divorassero. Quando sopraggiunse la sera... le bestie, il maschio e la femmina, uscirono e mi odorarono dalla testa ai piedi leccandomi; e quando mi aspettavo di venire divorato, si allontanarono da me... Il demonio, dopo essersi frenato per pochi giorni, mi assalì più violento di prima... Assume la forma di una fanciulla etiope" - Nigra sum sed formosa, ispirazione anche biblica - "che avevo visto una volta nella mia giovinezza, d'estate, in atto di raccogliere la stoppia, si siede sulle mie ginocchia e finisce per eccitarmi a tal punto da farmi credere di essere congiunto con lei. Allora, nella mia furia, le diedi uno schiaffo ed essa divenne invisibile. Ebbene, per due anni non potei sopportare il cattivo odore della mia mano. E così persi il coraggio e disperato uscii a vagare nel grande deserto; trovato un serpentello, lo prendo e lo avvicino ai miei genitali... E per quanto premessi la testa del rettile contro l'origine della tentazione, non fui morso. Udii allora una voce venire dentro il mio pensiero:'Vattene, Pacone, lotta; ho fatto in modo che tu fossi dominato dal Nemico, perché non t'insuperbissi pensando di essere forte'... Così mi convinsi e me ne ritornai indietro e, ripreso il mio posto con fiducia, rimasi in pace per il resto dei miei giorni'" (23, 1-6). 


Agoni diversi

File:Curtius Olympia 1 t03.jpg
Quanto restava di Olimpia durante i primi scavi (1875/1876)

Il peccato di hybris fu scontato invece dalle olimpiadi antiche, sconfitte dai record questi nuovi atleti dello spirito. Il grande spettacolo del corpo, durato più di un millennio, termina in sordina con l'edizione del 393 d.C., l'ultima ad essere registrata. Doppia ironia della sorte - e della storia - l'ultimo vincitore è un "barbaro", Varasdate, pugile e poi principe di un regno, l'Armenia, che era stato il primo a dichiarare il cristianesimo religione di stato nel 301.
Su Olimpia scendono il silenzio e la polvere. Nelle prime foto della sua riscoperta i resti sembrano emergere da un deserto.


File:Herrera e Padre Pio.jpg

Leggo sempre con un brivido le pagine di Palladio, una specie di personale rito apotropaico per esorcizzare ogni specie di rigurgito integralista. Andando volutamente oltre la mia formazione di storico potrei dire: bisogna conoscere la Storia lausiaca proprio per evitarla. E, volendo stemperare il finale, mi riguardo una vecchia foto della mia amata Inter dove, in una specie di riappacificazione fra sport e monachesimo, Herrera e Suarez incontrano Padre Pio. La castità valeva giusto per i ritiri delle squadre di calcio, quando era d'uso, e certe devozioni fanatiche è meglio che non durino oltre i 90 minuti di gioco regolamentari.

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