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domenica 22 marzo 2015

LODOVICO POGLIAGHI (1857-1950) E LE SUE ANTICHE CREATURE

Commento musicale  G. Martucci, Notturno (dir. Arturo Toscanini, 1938)


Passando gli anni divento meno aspro con gli artisti eclettici a cavallo fra Otto e Novecento.
Non dico di no a una visita alla Casa Museo Lodovico Pogliaghi in cima al Sacro Monte di Varese.


La dolcezza del tramonto lombardo fa quasi dimenticare il freddo che scende su questi ariosi contrafforti della Controriforma.
Doveva finire qui lo scultore della porta maggiore del Duomo di Milano, concepita durante le aperture di Leone XIII e collocata in piena repressione antimodernista sotto Pio X.


La villa, cioè, il museo (cosa che era già in vita l'artista) è un coacervo di stili che riassumono il lato ombroso della Belle Époque.
Nello spirito delle statue consunte del giardino d'ingresso.


Guardi l'esedra alla tua destra, reliquia di un gusto antiquario classicheggiante: Adriano, Erode Attico.


Più il consequenziale tocco arcaico dei Giano Bifronti quasi grezzi.


L'arte fa capolino qua e là come improvvisi baleni di lucciole.
Non stiamo per inabissarci nelle secche del baraccone del Vittoriale. Non c'è quel fetore poliedrico di rancido, muffa, unto, bava rappresa.
Qui abitava un sognatore raccolto in contemplazione sincretica, ma ordinata. Una tradizione figurativa sentita ancora come viva quando già morta e sepolta. E riportata in vita con quella specie di spiritismo scientifico tipico dell'epoca.
Teurgia di bronzo la porta del Duomo, di cui resta la monumentale anima di gesso nella parete di fondo del grande salone-studio.
Prima: una finestra di alabastro. Perché qui, tranne qualche finestra dai panorami struggenti, lo sguardo è introverso: il passato ha fatto sua questa casa, che non era né sarà mai contemporanea.


Sarcofagi egizi, vasi cinesi, greci, statue romane, frammenti, suture di un sogno.
Due tele del Magnasco da intravedere alla luce tremante delle candele, alcuni caravaggeschi. E tappeti, tappeti enormi, come puzzle intessuti del Grande Gioco euroasiatico.
Una testa di Dioniso e una di Mercurio reinnestate su copie romane acefale di originali greci.


Tutto l'insieme è di un'armonia commovente: la spinta al grandioso, esausta, si raccoglie in un intimo definitivo silenzio.
"Illuminato, immemore e fiorito come un quieto camposanto. Il tempo non s’era limitato a disfare antiche creature: vi aveva reso possibili, vi aveva creato raggruppamenti nuovi." (Proust, "Il tempo ritrovato").


Tocca uscire perché la visita (guidata bene) è finita e io invece vorrei restare qui la notte.
Sono tornato nella dimensione parallela del mondo concreto, quella che si tocca, come la pietra, ma senza scultore.
Lodovico Pogliaghi, scomparso fantasma in vita in un altro mondo. Anno Santo 1950.



Foto B/N Archivio storico Debora Ferrari Riproduzione riservata (c)
Foto a colori Luca Traini 2015(c)

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