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sabato 15 novembre 2014

UN LIBRO RUBATO: 22 ANNI DI CARCERE CON LA FIGLIA DEL RE DI DANIMARCA (LEONORA ULFELDT)

Commento musicale  Mogens PedersønMorirò, cor mio
 
 
Leonora Christina Ulfeldt, “Memorie dalla Torre Blu”, da me rubato a 17 anni, insieme al “Rapimento di Proserpina” di Claudiano (colpa del titolo) e a “Hölderlin” di Peter Weiss (altra torre, altra reclusione): tutti libri di cui negli anni ’80 non importava niente a nessuno. Scaffali classici e seconde scelte: i meno sorvegliati. I tre libri sistemati come una cintura Gibaud sotto il maglione e via, ostentando massima tranquillità, verso il reparto sportivi (massima vigilanza) e poi la cassa, questa volta per pagare un altro mio livre de chevet: Gian Paolo Ormezzano, Enzo Bearzot, “Storia del calcio”. Era geologica priva di antifurto, uscita: poker.
A 18 anni vado a lavorare d’estate in fabbrica, la pianto col furto dei libri (mai rubato altro) e cerco  inutilmente col mastice di riattaccare le mie “Memorie dalla Torre Blu” della Bompiani, che già vanno in pezzi, come buona parte dei tascabili di una volta. Una lettura drammatica, quindi, in tutti i sensi (oggi c’è l’elegante - e resistente – libro ripubblicato da Adelphi, ma se volete riprovare certe forti  emozioni potete trovare la mia edizione anche su eBay).
Io e la figliastra del re Cristiano IV di Danimarca (che aveva ripudiato sua madre, moglie morganatica), ognuno con la sua prigione. M’innamorai subito, ma lei era tutta presa da quel personaggio inquietante di suo marito (“inquietante” per i nostri anni ’80, per oggi, non certo per l’epoca barocca), il diplomatico Corfitz Ulfeldt, e per amor suo – pensare che era stato un matrimonio combinato quando aveva solo la metà dei miei anni, 9 – congiura contro il re, il fratellastro Federico III, partorisce ben 15 figli e, quando lui riesce a scappare, si fa 22 anni di carcere senza l’ombra di un rimprovero: “Dio ha operato cose meravigliose nei miei riguardi, perché è del tutto incomprensibile che io sia potuta sopravvivere alle sventure che mi sono capitate, mantenendo intatta la mia ragione, la mia mente, i miei sensi”.
 

Leonora Christina col marito in un'incisione di Jacob Folkema, 1746 _  Il Castello di Copenaghen in un'incisione del XVII sec.
 
 
Nella Torre Blu del Castello di Copenaghen (non cercateli: sono stati demoliti nel 1732), un nome che tanto mi affascinava da ragazzo, quanto, ad  ogni rilettura di “Jammers Minde” (“Ricordo del dolore” questo il titolo originale), si riscattava invece per il suo quotidiano squallore solo grazie alla penna delicata e spietata di questa grande donna: “Sono stata molto combattuta in merito a queste Memorie, non sapendo decidere se fosse meglio fare lo sforzo di dimenticare o quello di ricordare. Ma alcune ragioni che urgevano mi hanno finalmente convinto non solo a rievocare le mie sofferenze, ma ad affidare alla penna questi ricordi e indirizzarli a voi, miei cari figli, ora che posso sperare che i miei scritti giungano nelle vostre mani, essendosi di molto mitigata negli ultimi tre anni la durezza della mia prigionia”.

Il manoscritto originale
Commento musicale Johan Peter Emilius HartmannSonata for piano in F major


E anch’io, anni dopo, ormai insegnante, per quanto non in programma, facevo leggere ai miei alunni queste pagine collegandole a un libro delizioso nel frattempo uscito per i tipi della Salerno Editrice: “Antiche ballate danesi”. In particolare quella intitolata “La fanciulla dalle piume d’uccello” e i versi:

“Ti chiedo, mia diletta,
chi ti ha condannato a questa pena?”
“Sedevo alla tavola di mio padre,
e giocavo con rose e con gigli;
venne avanti la  mia matrigna,
nulla di buono aveva in pensiero.
Di me fece un piccolo usignolo,
e m’ordinò di volare nel bosco;
cambiò in lupi le mie sette ancelle,
l’usignolo dovevano sbranare”.

Ma l’usignolo riuscì a cantare e finalmente uscì da quella torre, nel 1685, grazie a un nuovo re, Cristiano V (quando si dice il nome), per finire i suoi giorni in monastero (il marito era morto ventuno anni prima), forse rileggendo Giobbe – “Cari figli, posso davvero esclamare con Giobbe: se si potessero mettere sulla bilancia tutte le mie sofferenze e tutti i miei patimenti, risulterebbero più pesanti della sabbia del mare. Tante e così grandi sono le mie sofferenze, pesanti e innumerevoli” – ma questa volta il lieto fine. E lasciando il manoscritto ai pochi figli sopravvissuti, che preferirono celarlo finché un altro Christian, Andersen, e i romantici non lo riportarono alla luce in pieno Ottocento, facendo conoscere al mondo una Danimarca che non è solo Amleto o la Sirenetta, ma la patria di una delle più grandi scrittrici di sempre.

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