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martedì 25 novembre 2014

PRO-ZIA IDA

  Storia breve di amore e assenza nell'ex manicomio di Fermo


Zia Ida, tu sei lì, in quella foto, con tutta la tua dolce solitudine: un terrazzo neutro - e il mare, il cielo delle Marche in lontananza. La mano con cui ti sostieni alla ringhiera, la mano con cui forse indichi qualcosa, non c’è, non si vede: è svanita nella cornice bianca della Polaroid.
Sei una robusta signora anziana dai capelli bianchi, sei la degente del manicomio di Fermo da cui le sorelle ti hanno fatto uscire, per condividere un giorno di festa: Adele, mia nonna, zia Lina, zia Teta, forse. Zio Titta è morto da un pezzo (non parlava quasi mai), zia Maria è invece suora di clausura, da 60 anni. Vedi, tutto questo lo so da mia madre, quando mi parla di un altro mondo.
Una follia serena, come quella del poeta Holderlin, scaturita con un grido disperato, di cui non resta traccia. Da 40 anni è così, zia.


Dovremmo incontrarci un giorno d’estate dell’81. Poi accade qualcosa d’imprevisto e non riusciamo a vederci.
L’inverno successivo io sono lontano, a Varese, e tu muori. Dio spegne un’altra parte di sé. Il tuo dio, zia, quello che non riuscirò mai a capire, quello di Pio XII, dell’età del ferro.
Tu ne ripetevi ossessivamente le litanie: ti era cresciuto intorno al cuore come un rovo. E dentro, in fondo a quanto chiamavi “anima”, dalle fattezze del Cristo emergeva un altro volto: Angelo, il fascista che avevi amato e che era morto in Spagna.
Quando ero davvero piccolo, avevo creduto che si chiamasse Augusto e gli avessero dedicato un libro scritto in latino. Poi la mamma aveva contraddetto il racconto di sua madre: il testo era una dispensa universitaria; il protagonista, l’imperatore romano sotto cui era nato Gesù.
Tutti possono sbagliare, zia. Chissà quante volte, nei primi tempi della tua follia, avranno cercato di convincerti che non era quella la via giusta, che dovevi sposarti come le tue sorelle o, almeno, farti monaca, come Maria.
Ma tu hai scelto l’amore senza regole per un morto e per il grande Assente. Ed io, pur senza condividere né l’uno né l’altro, ma vivendo di storia, di memoria, immagino l’ultimo giorno di festa in cui sei uscita.
Al tuo fianco, nella foto, ora ci sono anch’io. E le due realtà azzurre.

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