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domenica 19 ottobre 2014

LUCREZIA BORGIA, PIETRO BEMBO: “LA GRANDE FIAMMA”



Bartolomeo Veneziano, Lucrezia Borgia - Tiziano, Pietro Bembo
Commento musicale Josquin Desprez, Mille Regretz
Per sfatare certi giudizi nefasti su Lucrezia Borgia, anche se portano la firma di Victor HugoGaetano Donizetti, non c’è niente di meglio che la lettura de La grande fiamma - Lettere fra Pietro Bembo e Lucrezia Borgia (1503-1517), edito da Archinto.
Sì, perché fra lo scrittore veneziano poi cardinale e la figlia di papa Alessandro VI, allora moglie di Alfonso I d’Este  e duchessa di Ferrara, fu vero amore (e, a quanto pare - e  nonostante i gusti petrarchisti di entrambi - non solo platonico).
In meno di cento pagine, nelle poche lettere rimaste (lui quaranta, lei appena nove),  il dialogo a distanza tra il futuro  architetto della lingua italiana e la raffinata mecenate di poeti (su tutti l’Ariosto) rispecchia in modo cristallino, tormentato e sognante tutti i chiaroscuri della vita di corte rinascimentale. Perché proprio il cuore, nel linguaggio cifrato dei due amanti, è chiamato “cristallo” (seconda lettera di lei “lo incontro del vostro o nostro cristallo”, terza lettera di Pietro, in endecasillabi: “Avess’io almen d’un bel cristallo il core” e quarta, in prosa, “Ora m’è il mio cristallo più caro che tutte le perle de gl’indiani mari”). Perché particolarmente preziosi erano stati cinque esametri latini del Bembo, il cui incipit era inciso in un braccialetto d’oro a forma di serpente di proprietà della duchessa e dove il gioiello in prima persona cantava l’unione tra i fiumi Tago e Po.
E la donna – già, la donna, perché dell’avvelenatrice non c’è traccia in questa storia d’amore che è storia, non leggenda – la dama, in perfetta sintonia con il suo tempo, inviava brani di canzoni spagnole (“Yo pienso si me muriesse”, quinta cobla da “Si mis tristes pensamientos” di Lope de Stúñiga) al suo amato, che rispose con tre sonetti fra quelli di miglior cesello della sua raccolta di Rime (esattamente i numeri 88 89 90 dell’edizione curata da Carlo Dionisotti).
In particolare quattro versi dell’89:

“Madonna più che mai tranquilla, umile,
con tai parole e ‘n sì cortese affetto
mi si mostrava, e tanto altro diletto
ch’asseguir no ‘l poria lingua né stile”.

Raffaello, Ritratto di giovane (Pietro Bembo?) - Bartolomeo Veneziano, Ritratto di giovane (Lucrezia Borgia?)
Commento Musicale Tielman Susato, Danze rinascimentali
Un rapporto nato ai primi di giugno del 1503, con l’arrivo del poeta a Ferrara e l’invio alla duchessa dei suoi dialoghi sull’amore, gli Asolani.
Un gioco amoroso che ha avuto il suo culmine nei due anni successivi.
Pietro: “A voi bascio ora quella mano col cuore, che fra poco verrò a basciare con quella bocca che ha in sé il vostro bel nome sempre”.
Lucrezia: “Misser Pietro mio, cum singolare piacere e consolatione ho receputa e lecta una vostra lettera, per la quale inteso lo che mi scrivete”.
Una fitta corrispondenza che testimonia insieme alla condivisione tutte le difficoltà che possiamo immaginare (“mille lontananze, mille guardie, mille steccati, mille muri”, Bembo, Lettera 27), poi sempre più rarefatta con la dipartita dell’uomo dalla città (1505).
Una passione via via negli anni sempre più idealizzata dal poeta, fino all’ultima corrispondenza che data 13 ottobre 1517: “Né lunghezza di tempo né mutamenti di fortuna mi torranno giammai che io non sia, e che io non isperi a qualche tempo più ozioso poterla e visitare e servire”.

Resta - oltre le lettere, le canzoni, i versi – la ciocca di capelli (“Più simili ad oro che altro”, Bembo -  «Sono i capelli più biondi che si possano immaginare», Lord Byron)  che Lucrezia donò al suo Pietro (come non cambiano i gesti di chi ama), custodita dal 1685 alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano, nella teca realizzata da un grande gioielliere del ‘900, Alfredo Ravasco.

“Con promessa de ferma perseveranza. La vostra Duchessa de Ferrara” (Lettera 6).


Luca Traini

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