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mercoledì 24 luglio 2013

ARCADIA IN FIAMME

DUE MORTI PER UN CONCETTO

Una diversa lettura  dell’Eutìfrone di Platone



L’Eutìfrone mi ha sempre colpito per la brutalità della causa scatenante il dialogo: due orrendi omicidi in quella che doveva essere “la campagna di una volta” (chiamala “durezza” se vuoi, ma non basta). Due di quelle morti violente perpetrate fra le quattro mura di casa, al chiuso, morti che puzzano il doppio. Un bracciante ubriaco fradicio che ammazza uno schiavo e poi viene buttato dal padrone in un pozzo e dimenticato lì.
Ecco, l’aereo discorso sulla “santità” parte da questa vicenda terra terra, da un vecchiaccio dispotico che lascia crepare non tanto un assassino, ma un pezzente maldestro che gli ha rotto un oggetto di proprietà, una cosa parlante. E il figlio, l’Eutìfrone che dà nome al dialogo, ha il coraggio di denunciarlo: cosa inaudita anche nella democratica Atene - e poi non ha mica ucciso un consanguineo!


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E' anche il parere di Socrate e da subito si vede quanto parteggi per il padre padrone, uno di quei vecchi terribili poi tanto cari al terribile vecchio Platone delle LeggiQuando nell'incalzare del dialogo citerà, censurandoli, i comportamenti di Zeus e Crono verso i rispettivi padri, è chiaro che alluderà al comportamento di Eutìfrone.
Certo, quest'ultimo, un indovino pare neanche particolarmente apprezzato, di certo non un mago della dialettica, nell'ambito del dialogo non fa un gran figura, mostrando una discreta ottusità nel mettere in discussione le sue, poche, granitiche certezze. Non dobbiamo però dimenticare che questo è il punto di vista, diciamo l'opinione, del Platone che si cela nella statuetta di Sileno del suo Socrate, del filosofo impegnato a fondo in un grande progetto di rifondazione aristocratica che non ha certo tempo da perdere in cause che riguardano braccianti o schiavi.


File:NAMA Satyres & silènes.jpg

Tuttavia, agli occhi di un moderno ben contento di essere tale, la tentata denuncia del povero indovino nei confronti del padre violento - possiamo immaginare come sarà andata a finire - è un gesto di grande umanità, che merita di essere ricordato. 


Quindi un figlio contro il padre e due omicidi. Ma la cupa premessa non finisce qui. I due s'incontrano all'ingresso del tribunale dell'arconte re (e la presenza dietro le quinte di questa arcaica figura non è certo un caso). Uno sta per entrare, l'altro è appena uscito: dialogo immediato, senza intermediari o reminiscenze, magia drammatica di Platone. Socrate è in punto di fare il suo ingresso per respingere l'accusa di Meleto (non a caso fisiognomicamente brutto dentro e fuori, come Tersite) e sappiamo la fine che farà. Senza contare che Atene, il grande corpo della polis, è appena uscita da una guerra civile e da una catastrofe  militare che ha visto la rivolta di buona parte degli ex-sudditi del suo impero.


File:1784 Bocage Map of the City of Athens in Ancient Greece - Geographicus - AthensPlan2-white-1793.jpg

In  questa situazione di crisi profonda a cui la restaurazione democratica di Trasibulo sta cercando di rimediare in qualche modo (ne mimneskein “non ricordare”, la parola d’ordine tutt'altro che platonica riportata dal filospartano Senofonte nelle sue Elleniche), ecco la scandalosa novità di un uomo che vuole accusare il padre per l’omicidio di un non-consanguineo (e forse solo una profonda crisi di “valori” poteva spingere a ciò un devoto all’antica come Eutìfrone) e addirittura un dialogo su ciò che è “santo” -ma, soprattutto, su ciò che non lo è (il dialogo molto “intelligente” – e astuto, specie nei confronti dei posteri – di un disperato, letteralmente e letterariamente, perché è pur sempre il Socrate di Platone).


File:Sacrifice south frieze Parthenon BM.jpg

Alla fine del testo non si approderà a nulla, se non a smontare le premesse teoriche di Eutìfrone (ma speriamo non lo abbia distolto dal suo fine). Una buona, anzi, ottima scusa per far capire che in fondo il “santo”, cioè il “giusto” della cui “giustizia” la “santità” è parte, è lui, Socrate: una specie di difesa prima dell’Apologia.
L’esegeta, l'esperto di leggi, che tanto diceva di aver cercato il vecchio omicida per un parere (mentre il suo lavorante agonizzava nel pozzo), l’ha trovato il figlio. E’ Socrate, il figlio dello scultore, il pronipote di Dedalo inventore di automi, ispiratore alla lunga dei cittadini della Repubblica che forse è in cielo, Socrate che volò alto, come l’accusato del modo proverbiale “Accusi forse uno che vola?” (Eutìfrone 4a), come il sofista mascherato delle Nuvole di Aristofane. Ovvero, “Accusi me” sembra dire Socrate, perché se il mantis parla come un folle, allora è come Meleto e questa città (la parte democratica), che lo condannerà, condannerà il maestro di Platone, il padre spirituale che il discepolo penserà, anzi, meglio, crederà di non tradire mai.


La città malata di stasis come i vecchi di Eutìfrone, incapace di stabilire un criterio di giustizia il più possibile non contraddittorio (e quindi privo di contraddittorio, non solo in tribunale), quella condannerà Socrate, come un figlio ingrato. Come Eutìfrone.

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