mercoledì 19 novembre 2014

IL VOLTO DI PASOLINI





Dicevi: “La mia magrezza”.

E, dio, com’eri magro! Il volto incavato come l’uomo dantesco, su cui si legge la M di homo, a fare da cavea per gli occhi, perché vi entrasse la realtà con tutta la sua forza, dopo aver colpito gli zigomi.

E dai bulbi oculari un colpo di frusta alla mandibola, fino alla bocca, luogo della fame, per dire cantando, dolorosamente, dire prosa e poesia, fame e sete di giustizia.

Pierpaolo, nelle foto non mostri quasi mai i denti, mai volontariamente, e c’è un pudore arcaico, una misura, profondo pudore, profonda misura in questo celare il morso, la zanna, il riso sfrenato come l’inevitabile ritmo di pietra nella carne delle parole.

Dice la tradizione popolare che le rughe sulla fronte sono segno di saggezza.

Quanto pensi, figlio mio! E’ questo peso che ti alliscia i capelli e preme sulla fronte, così le idee corrono alle tempie e gonfiano i capillari e ridiscendono fino agli occhi e decodificano l’immagine entrata nel cervello alla rovescia, come non la vedevano gli altri?

Io non posso guardare Pierpaolo senza commuovermi, senza dire che era bello, perché c’è in quella immagine - io cresciuto ad immagini - c’è in quel corpo bianco&nero lo stesso odore di corpi, il suo ricordo in me di un mondo fatto di terra, di arbusti che non si strappano, portoni di casolari che tu entri, tu “bocchi” e “su lu focu”, sul fuoco ci sta la marmitta dove nonna e zia stanno a fà la ricotta… capisci, Pierpà, io vedo e me la sento ancora quella ricotta.

Ma tu, che avevi il corpo medievale, che in “Petrolio” mi parli di oggi ma fai l’elogio dello smegma che sta lì intorno alla cappella, come cazzo avresti potuto sopportare la nuova civiltà del disinfetto, anestetizzo, sto zitto, Deogled assorbo tutto e ti artificio, così passeggi tranquillo per Corso matteotti di Varese con la “m” minuscola, perché quello lì allora è morto per un cazzo.

Esco dal quadro, esco dal quadro e dico che facevi bene a portare giacca e cravatta, forse facevi bene, perché l’abito mica fa il monaco, perché mi ci vestirei anch’io - che mi frega? - mica bisogna per forza fare i monaci che bevono dalle pozzanghere per essere vicini al dio tutto uomo che muore, se non necessario, se non indispensabile - io questo lo prendo pari pari dal Rossellini di “Agostino d’Ippona” anche se non vi prendevate bene, perché il tempo passa anche bene quando raccoglie le vostre ceneri e le fa cadere come neve spirituale sui campi di Travedona, dove passo per lavorare, a scuola, quella scuola media che volevi abolire, probabilmente a causa del termine “medio”, e quasi quasi non ti darei torto, ma c’è anche la “medietas” oraziana, il “termine medio” della filosofia classica - mica devi per forza vestire altro per dire «NO a questo. SÌ a quest’Altro, A maiuscola», «NO a questa tribù, SÌ: Noi».

Pierpa', le orecchie. Nel padiglione auricolare, nel gorgo, fino all’orecchio interno, dove viene l’otite peggiore, la voce del mondo contadino: «Jemo a mete, fenà (“mietiamo, fieniamo”)! E l’eco del grido, “lu grido”: «Che ce stemo ffà ecco (“che ci stiamo a fare qui”)?» de chi d’è emigratu in città = sottoproletariato. In bilico sul lobo sta poi l’operaio iscritto al PCI, alla CGIL di Di Vittorio, che nella Resistenza sognava anche la vittoria della classe operaia, vedi Rivoluzione, e ci sperava davvero, con tutto quello che il Vero nel Greco stava col Bello e col Buono, cioè, Aristocrazia di Spirito di Dante nello scambio di sangue - analisi del sangue - con Gramsci, con Marx. Dietro le orecchie, come rogna da grattare, la borghesia - tranne le élites intellettuali, una parte, pochi eletti, pochi giusti rinnegati  in bilico sull’arricciamento della carne, la carne - e l’aristocrazia, molto dietro, come forfora nascosta nella chioma nera.

Il mese in cui nacqui - era marzo, ricordi? - tu fosti colpito da un’ulcera, tu che non bevi, tu che non fumi, tu lo passasti a letto a leggere Platone - perciò dialoghi platonici negli occhi - e mangiavi riso in bianco - tutta una purezza per labbra denti gola fino allo stomaco, alla ferita che si rimargina, al sangue che torna a scorrere nel posto giusto, e l’ispirazione ti fa scrivere non 1 ma 6 drammi.

Ma tu, Cristo, Pasolini, perché volevi me morto, me morto nato nel ‘66, per te figlio dell’Omologazione. Non volevi che mettessi l’apparecchio ai denti - cazzo, che privilegio! - nel ‘76 ad Ancona? Che non mi comprassi Asterix - il fumetto, Pierpaolo, il fumetto, Pazienza! - in
un pomeriggio da favola, tutto felice dopo l’ospedale in quella città-ventre-balena col porto, dopo che i raggi x mi avevano detto: “Ti mancano 2 denti sotto e, se nascevi prima, avresti avuto i denti sopra davanti come Bugs Bunny, americano, coniglio: era questo che volevi? Io credo proprio di no, però sai quanto mi hai fatto incazzare tu che avevi i denti giusti? Mi sembri Massimo Fini quando ti imita da destra e fa l’elogio di uno sciancato che era accettato più ieri che oggi: ma dici, ma dice sul serio? Ma lo sciancato, pardon, l’handicappato tanto mica era lui, mica eri tu!

Tu con lo stesso cognome di quel motociclista che aveva passione incendiaria per la vita, la vita, e la morte negli occhi: tutti e due morti prima del tempo.

Tu Gioacchino di Giotto, che sta sognando. Adamo di Masaccio, esule, nudo, censurato. Ebreo di Paolo Uccello destinato al rogo . Mosé che cerca di salvare le figlie di Ietro, Rosso, friulano, romano. Tu Pontormo che sta male. Tu nel Deserto degli Ulivi di Mantegna. Tu testa mozzata di Caravaggio in pugno a un Davide che non è Davide, che non ti ha ucciso.

Telefono a Ombretta e poi parlo con Enzo Siciliano che trasforma la grafite in tungsteno incandescente - ti accende una centrale elettrica nel cuore! - e allora si accenna a quel ritratto che ti fece e poi scomparve in Francia, rapito o comprato da Francesco primo, Napoleone, da un ex-terrorista o da un collezionista di riproduzioni, riproduzioni italiane. Dove sei finito? Anche tu in esilio in Francia? In un castello della Loire? O negli occhi di un ex-sessantottino ogni mattina, nella “ville lumière”? Ah, ma qui, tra noi, almeno c’è il tuo sangue, l’inchiostro, almeno quello!

Poi con Enzo si parla di un altro perseguitato, di Visockij, nella terra dove il paradiso sarebbe dovuto scendere d'autorità già nel 1980, l’ex-URSS. Che dire? Che fare? Io sottolineo rubandogli la geometria che Vladimir sarebbe stato corpo e voce perfetti per la tua “Affabulazione”, per certe alienazioni mai risolte anche lì, anche lì dove il russo, il sovietico si affogava nella vodka - mentre tu, come già detto sopra, non bevevi, se non anche tu quel calice amaro - perché la lucidità fa male e invece…

“Sono stremato, ho i tendini a pezzi,

Ma

oggi, ancora come ieri,

Sono braccato. Braccato!

I tiratori, allegri,

corrono ad appostarsi!”.

Da “La caccia ai lupi”.

Di Visotskij.

O di

Pasolini?

O…


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